Dopo lo splendido esperimento shakespeariano del primo Thor (2011) diretto da uno dei registi che meglio riesce a catturare in schermo lo spirito del poeta drammaturgo inglese, Kenneth Branagh (Henry V – 1989, Much Ado About Nothing – 1993, Hamlet – 1996, Love’s Labour’s Lost – 2000, ma anche Peter’s friends – 1992), e dopo il fallimento (a mio avviso) del seguito diretto da Alan Taylor Thor: The Dark World (2013), che comunque riesce ad imbastire una direzione artistica e un lavoro sui costumi davvero buono, la saga del nostro amato Dio del Tuono Marveliano torna sul grande schermo vestendo un abito del tutto estraneo a questa trilogia. Abito che sin da subito era stato mostrato con molto orgoglio nel trailer e che aveva fatto capire a tutti l’operazione massiccia di restyling che il film avrebbe subito.
Infatti era chiaro che lo stampo narrativo e immaginifico dei due precedenti Thor, film Marvel dalla costruzione molto classica e con l’idea precisa di unire Asagard alla Terra, sarebbe stato abbandonato per dare spazio a qualcosa di nuovo, qualcosa di più colorato e appariscente, qualcosa che (finalmente) avrebbe tolto il personaggio di Chris Hemsworth dalle solite situazioni ormai diventate una routine in questo genere di film: salva la terra, salva l’amata, fai l’alieno fuori contesto, fai due battutine e così via.
La Marvel, come sempre, ha l’occhio lungo e analizza le mode del periodo. Cosa è che va adesso? Cosa va tanto tanto tanto? Esclusa la figa. La seconda cosa che va tanto tanto tanto?
Gli anni ‘80.
Dall’avvento della prima stagione della serie Stranger Things (2016), preceduto in verità da alcuni esperimenti nostalgia usati a mo’ di sonda analizzatrice infilata in culo allo spettatore (vedi il carinissimo Super 8 di J.J. Abrams, il ritorno dell’A-Team con il film del 2010, i vari film sui Transformers, Tartarughe Ninja, G.I. Joe e compagnia bella), adesso c’è la nostalgia degli anni ‘80.
C’è una nostalgia forte degli anni ‘80, tant’è che anche il buon vecchio IT che tutti si ricordavano negli anni ‘60, è stato calato nel magico decennio degli ‘80 con tanto di bambini in avventura stile The Goonies (1985), è anche tornato Star Wars che puzza di ‘80 come non mai.
C’è tanta tanta nostalgia.
Quindi Thor ha bisogno di un forte restyling perché in effetti i due capitoli precedenti sono troppo simili ad ogni altro film Marvel, e visto che la moda del periodo è questa cosa potevamo aspettarci dalla Marvelissima? Perfetta nel leggere le voglie del grande pubblico e vomitarle come questo desidera?
Un bel filmone dal puzzone 1980.
Thor: Ragnarok, diretto da Taika Waititi (che nel film veste i panni di Korg, l’alieno di roccia), questo è: un filmone colorato che ci catapulta dentro un avventura dai toni, colori, e suoni, tremendamente anni ‘80.
Tutto in questo film rievoca gli eighties.
Prima di tutte l’ambientazione, che oscilla tra il fantasy epico e lo sci.fi. monocromaticamente viola / fucsia e rosso acceso ci ricorda la splendida Eternia di He Man (1983 – 1984), con i suoi castelli medievali immersi nelle foreste e a pochi metri una gigantesca nave spaziale rosa e gialla.
Spade di ferro e colpi brillanti di armi laser ci ricordano ancora He Man ma anche i G.I. Joe, che sparavano quei laser monocromatici brillanti, rosso e azzurro, di due colori ben distinti per permetterci di distinguere la fazione del bene da quella del male. In Thor: Ragnarok la scelta cromatica di questo dettaglio è stata rispettata e vedere quei colori al neon brillante dal sapore dello splendido (secondo me) Tron (1982) è stato un piacere per gli occhi, e anche una sorpresa.
Thor: Ragnarok non si risparmia nel visivo così come nel sonoro, la colonna sonora curata da Mark Mothersbaugh è un tripudio di sintetizzatore e composizioni dall’idea prepotentemente elettronica anni ‘80, con un tocco di 8bit videoludico ogni tanto. Le scene più significative sono ironicamente e perfettamente sottolineate dal pezzo dei Led Zeppelin Immigrant Song (1970), che il film ci propone ben due volte, la seconda quasi per intero. Questo ci ricorda quanto le colonne sonore cantate erano importanti in certi prodotti degli anni ‘80, basti ricordare Highlander (1986) e la sua colonna sonora in cui spicca Princes Of The Universe composta dai Queen e Who Wants to Live Forever cantata da Freddie Mercury, o Flash Gordon (1980) che ha invece tutta la colonna sonora composta dai Queen. Labyrinth (1986) con i pezzi di Bowie, e senza andare troppo lontano possiamo rievocare i lungometraggi di Corbucci con Bud Spencer come Cane e Gatto (1983) con il tema musicato dai fratelli La Bionda. O i film musicali, di cui ricordo con piacere Flashdance (1983) e la sua bellissima (a me piace un sacco) Maniac di Michael Sembello. Ancora una forte strizzata d’occhio da parte di questo Thor al 1980.
Il film inoltre si narra come un’avventura, e restituisce a questo prodotto la sua dimensione da fumettone colorato che più si addice a questo genere di film sopra le righe. Alla fine è quello che ha fatto Gunn con i suoi due Guardians of the Galaxy (2014, 2017), ma in questo Thor: Ragnarok riesce ad essere più misurato e meno deficiente. Il film infatti ricalca i soliti parametri narrativi della Marvel, soprattutto per quanto riguarda l’ironia e il ritmo, ma lo fa avvalendosi di una coscienza pura e onesta. Lo sa che stavolta il fumetto al cinema deve essere più fumetto che cinema, e con l’impostazione spensierata del fantasy pacchiancolorato anni ‘80 riesce a mettere su una sorta di Flash Gordon (1980) moderno, meno serio e più cosciente.
Questo pretesto narrativo è ottimo per mostrarci Hulk in una veste insolita da coprotagonista, licenziare tutto quello che poteva ricordare il Thor passato come la Portman, Kat Dennings, Skarsgard, e inserire dei cattivi sopra le righe quali sono la splendida Cate Blanchett con la sua Hela, Dea della Morte, e il bellissimo Jeff Goldblum con il suo Grandmaster, Cattivi così esagerati che ci riportano col pensiero all’Imperatore Ming, immortale, folle, chiassoso, vestito come un cretino. O agli improbabili immortali di Highlander (1986), con le loro scintille e le loro vesti lunghe da figo metropolitano. O a Skeletor, delirante antagonista di He Man.
Thor quindi riporta l’avventura fumettistica in grande spolvero sul grande schermo e incastona, finalmente, questo genere di film dove deve stare, in una dimensione più spensierata e senza pretese. Cosa che aveva provato a fare anche Suicide Squad, ma con meno mordente, cosa che fa l’ottimo Spider Man Homecoming pur rimanendo nello standard Marvel. Cosa che abbiamo visto resa perfettamente in prodotti che esulano da questo mondo commerciale cinecomicsiano, come Scott Pilgrim vs. the World di Edgar Wright del 2010, o nel più ricercato Unbreakable (2000), che porta in schermo il fumetto analizzandone però la parte metacinematografica e metafumettistica (si dice?), ma che fino ad ora avevamo visto pochissimo in un mondo che invece dovrebbe esserne saturo.
Ecco dove si incastona questo Thor: Ragnarok: nel chiasso da fumetto di mazzate, con il suon stile ben definito e la sua avventura genuina e divertente. Non a caso gli incastri di trama più palesi ci potrebbero ricordare uno shonen manga, o una storia da super eroe più spicciola: il nemico da battere apparentemente immortale, un popolo da salvare, una famiglia da riunire. E in un tripudio di cliché narrativi che pare debbano risolversi nel modo più classico possibile, Thor: Ragnarok ci stupisce ancora una volta usando tutti gli indizi proposti nel corso del film per costruire un finale abbastanza inaspettato che riesce a chiudere ogni linea narrativa proposta dalle due ore di film riuscendo per una buona volta, in questo mondo di saghe a puntate, a fare un film chiuso e quadrato.
Certo, il lavoro del signor Waititi non è perfetto e il film soffre di tante scene accessorie inutili che potevano essere facilmente omesse, soprattutto nella prima parte. Soffre di piccole imperfezioni nella fotografia, soprattutto nelle scene in cui Odino guarda l’orizzonte sulle scogliere della Norvegia in cui i personaggi e lo scenario sono colpiti da una luce palesemente differente. Soffre di una regia funzionale e buona ma non eccelsa. Soffre della solita valanga comica Marvel che secondo me è simpatica ma forse in certi punti stroppia e di un uso della CGI buono ma, come era ovvio aspettarsi, molto molto massiccio.
Thor: Ragnarok alla fine riesce ad essere un filmetto molto molto carino, godibile, forse uno dei più geniali della Marvel sotto il punto di vista estetico e di idee con cui questa estetica è stata trattata e imbastita. Il film però, purtroppo, rientra in questa attuale moda di ricerca e rivisitazione degli stilemi narrativi anni ‘80 e questo potrebbe vestirlo di mera operazione commerciale da acchiappa pubblico. Io per primo lo annovero in questa categoria. C’è da dire comunque che alla fine ne esce un filmetto molto divertente e dal forte forte impatto visivo che rievoca in modo abbastanza fervido quell’idea di avventura e divertimento che purtroppo era andata perduta e che questo esperimento stroboscopico riesce in qualche modo a riproporre in modo moderno ma con intelligenza e guizzo rispetto alle opere, al mondo, all’annata da cui trae ispirazione.
Oh, bellino dai.
Addio.
P.S. Il cameo di Sam Neill e Matt Demon è la ciliegina sulla torta di questa psichedelica avventura.
2 risposte a "Thor: Ragnarok"