Tutti lo hanno salutato come un capolavoro assoluto ed innovativo: ho finalmente visto Inside Out, lungometraggio della Pixar del 2015 con Pete Docter alla regia, lo stesso degli ottimi Up (2009) e Monster Inc. (2001). L’ho trovato un capolavoro? Not necessarily. Non al livello di WALL-E (2008), per esempio. Mi è piaciuto? Sì, mi ha divertito abbastanza e mi ha fatto pure un po’ pensare. Quindi ho pensato di scriverci su due righe senza senso qui sul blog.
Come accaduto altre volte in passato con i film Pixar, mi è parso che l’inizio fosse davvero ottimo. Lì si introduce lo spettatore alla protagonista, Joy (Gioia), e a coloro con i quali si alterna ai comandi della 12enne Riley: Sadness, Anger, Fear e Disgust (Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto che, vista la comune avversione dei bimbi piccoli alla verdura, ha la forma e il colore del broccolo). Scopriamo quindi il funzionamento della memoria, con le memorie a breve termine che si trasformano in memorie a lungo termine durante la notte e vanno ad alimentare delle isole di personalità, tra cui quella della famiglia, quella degli amici, quella del divertimento… tutte cose che formano il carattere di Riley.
Fin qui, tutto carino e divertente. Innovativo? Sì, ma non del tutto: non è la prima volta che si vedono esserini minuscoli che comandano il corpo in cui stanno. Basti pensare a Osmosis Jones (2001), e andando ancora più indietro nel tempo, a Il était une fois… la Vie, ovvero la serie francese di fine anni 80 tradotta come Esplorando il corpo umano in Italia. Dove la Pixar innova è sulla natura di questi esserini, caratterizzandoli come emozioni e facendoli interagire in modo simpatico per farci intuire in che situazioni riesca a prevalere la tristezza, o la rabbia… e via dicendo. E anche nella descrizione del funzionamento della memoria, basata anche sulle attuali teorie che lo studiano (gli sceneggiatori hanno lavorato con degli psicologi per questa parte della trama). E questa è probabilmente la parte migliore del film. Che succede dopo?
La famiglia di Riley cambia città (dal Minnesota alla California, esattamente come successo al regista Pete Docter) e la ragazzina attraversa una fase di crisi: improvvisamente priva di amici, senza il suo amato hockey sul ghiaccio, in una casa poco accogliente, e col padre che sembra perso col suo lavoro e non le presta le attenzioni che le prestava prima (un po’ un cliché, ma passiamoci sopra). E nella sua testa cosa succede? Succede che per un incidente Joy e Sadness vengono espulsi dalla sala di comando e devono avventurarsi attraverso le memorie e le isole di personalità per tornarci. Quindi da una parte assistiamo a Anger, Disgust e Fear che provano a fare andare avanti Riley come nulla fosse accaduto con risultati disastrosi (tanto che scapperà pure di casa), e dall’altro accompagnamo Joy e Sadness nel loro viaggio pieno di difficoltà per tornare a mettere a posto la situazione. E qui casca l’asino, come si dicevano i nostri nonni.
Insomma, dell’idea brillante iniziale nella parte centrale del film rimane ben poco. In effetti, la parte centrale con Joy e Sadness che tentano di tornare a casa è molto simile a vari altri road trip ‘a due’ a cui la Pixar ci ha abituato nel corso degli anni, come Marlin e Dory che viaggiano per ritrovare Nemo o Buzz e Woody che viaggiano per ritornare a casa dopo essere stati abbandonati al Pizza Planet. Questa parte mi è anche sembrata abbastanza poco ispirata… sarà che tra la Imaginationland che si vede qui e quella di South Park, la seconda mi sembra molto più interessante!
Bisogna arrivare al terzo atto del film per rivedere delle idee ganze, come il cambiamento nei ricordi di Riley, non più soltanto felici o soltanto tristi, ma più complessi e solitamente legati a più di un’emozione per volta. E questo non è che uno dei cambiamenti che simboleggiano il primo passo verso l’adolescenza, un periodo normalmente turbolento e pieno di cambiamenti. Insomma, nel finale il film si riprende e torna ad avere la brillantezza iniziale.
Che dire, quindi, di Inside Out? Due parti su tre le ho trovate ispirate e divertenti. Chiaramente non è un film fatto per vendere giocattolini come i vari Cars (2006) o il recente The Good Dinosaur (2015), cosa senz’altro positiva. L’animazione e i disegni sono come sempre impeccabili, ma la Pixar ci ha abituato così bene che quasi ormai non ci se ne accorge più. Le musiche sono serviceable (utili, funzionali in italiano, mi dice Wordreference), e i due corti che si trovano nel DVD sono uno molto buffo, quello del primo appuntamento di Riley, e uno simpatico, quello del vulcano who wants someone to lava (intraducibile gioco di parole tra love e lava). In particolare, il primo dei due cortometraggi sfrutta una delle trovate più divertenti di Inside Out, cioè l’entrare nella testa del padre dove l’emozione primaria è Anger, e fa anche molto ridere entrare nella testa dell’adolescente con cui vuole uscire Riley per vedere la profondità dei suoi pensieri…
Che altro? Mi è parso che il film dia molti spunti per pensare a come viviamo la nostra vita, i nostri affetti, le nostre storie, a come ci poniamo con gli altri, a come conserviamo i nostri ricordi… non ho potuto fare a meno di pensare a eventi passati felici che col tempo sono diventati malinconici, o addirittura tristi. O a cose per cui ho provato rabbia solamente tempo dopo, o cose apparentemente insignificanti e lontanissime nel tempo ma che mi si sono marcate nella memoria per il forte disgusto che provai, o per la paura, o per la felicità. Mi sembra impossibile pensare di vedere Inside Out senza fare un tuffo nella propria memoria, senza cercare esempi che si incastrino con i ricordi e i colori dei ricordi (ogni emozione è associata ad un colore, nel film) che appaiono sullo schermo. Certamente è un valore aggiunto il fatto che gli sceneggiatori abbiano lavorato con psicologi vari per tentare di riprodurre in maniera fedele, per quanto possibile, i meccanismi emozionali e di stoccaggio della memoria di un essere umano. Sicuramente questo sforzo ha pagato, perché non c’è niente di banale in come Inside Out disegna come funziona il nostro cervello.
Quindi considero Inside Out assolutamente da vedere. Bellino, divertente specialmente all’inizio e alla fine, e anche profondo. Peccato per la parte centrale che sembra soltanto allungare il brodo (questo è il post delle espressioni arcaiche) più che aggiungere qualcosa di sostanziale o sfruttare l’idea brillante delle emozioni che ci governano. Probabilmente continuo a preferire Up (manco a dirlo, soprattutto l’inizio), WALL-E (mi ripeto troppo se dico che tutta la prima parte in cui non parla nessuno è niente meno che geniale?) o The Incredibles (Gli incredibili, 2004), ma è sicuramente tra le migliori prove della Pixar (che Wikipedia mi dice essere arrivata già a 19 lungometraggi!).
E per finire, un aneddoto: l’espressione “casca l’asino” deriva dal “ponte degli asini”, cioè un punto critico. Naturalmente viene dal latino pons asinorum… leggetevi il resto qui, se interessati. Quanta cultura su questo blog…
Link esterni:
- Trailer del film su Youtube
- Pagina del film su Internet Movie DataBase
- Recensione del film su Il buio in sala
- Recensione del film su L’antro atomico del Dr. Manhattan
- Recensione del film su Parole che lasciano il segno
- Recensione del film su Emozioni in animazione
- Recensione del film su Le tazzine di Yoko
- Recensione del film su Il mondo di Athena
- Recensione del film su Lo spazio bianco
- Recensione del film su Nuovo cinema Locatelli
- Recensione del film su Fantasy for dreaming
- Recensione del film su I cinetossici
- Recensione del film su PuecherInside
- Recensione del film su L’occhio del cineasta
- Recensione del film su La chiave di Sophia
- Recensione del film su Bastardi per la gloria
- Recensione del film su Badtaste.it
- Recensione del film su Qui si parla di cinema
- Recensione del film su Sognando leggendo
Ottima recensione. Hai spiegato bene i motivi che ti hanno portato a dire che, per quanto ti riguarda, Inside Out non è un capolavoro. Personalmente però non sono del tutto d’accordo sulla parte centrale. Hai ragione ha dire che in quel momento diventa un road trip come altri film della Pixar, ma non pr questo perde la sua potenza. Ha i suoi momenti comici e divertenti ma è proprio in quei momenti che Gioia e ristezza hanno modo di interagire ed è proprio lì che vedono come ormai Riley stia abbandonando l’infanzia e che sta cambiando. Oltre ciò quello è anche un buon momento per far vedere l’apatia e la delusione della bambina che non riesce a star bene in questo luogo e che si trova sola e sperduta.
Comunque sia una recensione molto interessante.
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Grazie mille!
Interessante quello che dici sulla possibilità di interazione tra le due emozioni data dal road trip, hai ragione! Forse la mia è stata semplicemente una percezione relativa rispetto alla prima e all’ultima parte che sono veramente brillanti!
Grazie per la lettura e per aver lasciato un commento!
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La fine è uno dei momenti in cui il film raggiunge il suo apice e riesce ad essere così commuovente e così potente grazie alla costruzione avvenuta nella parte centrale. È un film che forse bisognerebbe riscoprire guardandolo con un’altra ottica e considerando il fatto che è adatto più agli adulti che ai bambini.
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Sicuramente, ai bambini restano i colori molto vivi e l’animazione spettacolare, ma a livello di trama Inside out è certamente più per adulti!
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