La piel que habito: recensione del film

la-piel-que-habito-1La piel que habito (fedelmente tradotto come La pelle che abito in italiano) è un film del 2011 diretto da Pedro Almodóvar (di cui ho già scritto qui e qui) con Antonio Banderas ed Elena Anaya. Mi ha deluso parecchio: dopo un inizio intrigante, secondo me Pedro Almodóvar dimostra di non saper gestire un soggetto non facile e ricorre all’espediente meno interessante di tutti per sviluppare la trama: ce la racconta, invece di mostrarcela. Ma andiamo con ordine e, in questo caso, non posso evitare spoiler. Se non avete visto il film, tornate dopo averlo fatto se volete evitare di sapere che succede!

Come detto, la prima parte del film è davvero interessante. Vediamo una ragazza, Vera (interpretata dalla sempre splendida Elena Anaya) chiusa a chiave in una stanza e dopo un po’ capiamo che è Robert Ledgard (Antonio Banderas), un chirurgo di fama nazionale, a tenerla prigioniera. Non capiamo bene il rapporto tra i due, ma certamente lei non è felice: tenta di suicidarsi tagliandosi le vene! In più la domestica Marilia (Marisa Paredes, que Almodóvar ha usato anche in Todo sobre mi madre) dice delle frasi strane che capiamo e non capiamo… insomma, un bel mistero. Mistero che si infittisce quando il figlio della Paredes, ricercato dalla polizia, si presenta alla villa travestito da tigre (è Carnevale…), vede Vera, lega la madre, entra nella stanza della prigioniera e la violenta dicendole che vuole fare l’amore con lei come ai vecchi tempi. In quel mentre rientra Ledgard che lo uccide a pistolettate.

Wow! Che sta succedendo? Dove ci porterà questa serie di eventi? Come si svilupperà la trama? Putroppo la risposta a queste domande è un po’ deludente. Ledgard comincia a parlare con Marilia che ci spiega tutti i fatti che hanno portato agli eventi che abbiamo appena visto: in sostanza, anche Ledgard è suo figlio e ha appena ucciso il suo fratellastro che anni prima era l’amante di sua moglie (che è fisicamente identica a Vera) che morì in un incidente automobilistico. A Ledgard rimase la figlia. E qui il film si ferma per una serie di flashback in cui vediamo questa figlia depressa dopo la morte della madre. Come se non bastasse, viene violentata ad una festa (da Jan Cornet) e si suicida poco dopo. E cosa fa il nostro Ledgard? Rapisce il violentatore e comincia a cambiargli i connotati fino a farlo diventare… la Vera che tiene prigioniera (il cambio di sesso è la prima cosa a cui lo sottopone).

Non sorprendentemente, dati i fatti appena scoperti, quando torniamo al presente alla prima occasione Vera uccide Ledgard e torna da sua madre dicendo di essere suo figlio, anche se all’apparenza è tutta un’altra persona. Fine.

Quello che proprio non mi è piaciuto è come Almodóvar ha deciso di raccontare la storia. In mano a un Amenábar (penso a Abre los ojos) o a un Cronenberg (penso a Dead ringers), per esempio, credo che sarebbe uscito un film decisamente più bello. Qui si comincia con il mistero, e poi l’unico modo che il regista ha saputo tirar fuori per dipanare la matassa è lo spiegone. Pessimo. Sembra quasi che Almodóvar non sappia gestire il genere di questo film, cosa abbastanza evidente anche nelle scene d’azione che, volendo essere generosi, sono penose. Sia l’inseguimento del motociclista/violentatore, sia gli scontri a fuoco sono di una staticità e una macchinosità davvero tremende.

Per il resto invece non possiamo che ammirare l’inventiva di Almodóvar nell’uso della macchina da presa (gli piacciono le inquadrature dall’alto, eh, è ufficiale!), nell’uso dei colori, e nella direzione degli attori (impressionante come appaia credibile la trasformazione Jan CornetElena Anaya). E i temi a lui cari sono tutti lì: l’ambiguità sessuale, il ritorno, in questo caso con le fattezze della moglie morte che tornano sul corpo del violentatore della figlia, la complicatezza della famiglia, la violenza legata alla passione e all’amore… ma non mi è sembrato un film riuscitissimo. Curioso sì, certamente con del potenziale, ma mi ha deluso. Ciao!

Update: ho visto anche Mujeres al borde de un ataque de nervios (1988) e Dolor y gloria (2019)!


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8 risposte a "La piel que habito: recensione del film"

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