The Village: recensione del film

the-village-joaquin-phoenixThe Village è un film del 2004 diretto dall’amato/odiato M. Night Shyamalan. Regista molto controverso, lui: dopo un inizio unanimente considerato spettacolare con The Sixth Sense (Il sesto senso, 1998), fu celebrato come il prossimo Spielberg. Poi i suoi film con i finali a sorpresa cominciarono a stancare, e forse The Village è considerato l’inizio del suo declino artistico. Ad esso seguirono Lady in the Water, 2006, ma soprattutto gli orridi The Last Airbender (L’ultimo dominatore dell’aria), 2010, e After Earth, 2013. Contrariamente ad ogni aspettativa, sembra che il buon M. Night si stia riprendendo grazie alla recentemente completata trilogia cominciata nel 2000 con il buon Unbreakable. Ma sto divagando. Di che parla The Village (tranquilli: niente spoiler)?

Parla di un villaggio nell’Ottocento isolato in mezzo a una foresta dove pare che gli abitanti vivano assediati da creature innominabili. Hanno un perimetro di difesa con torri di avvistamento e torce sempre accese di notte, ma per il resto conducono una vita pressoché normale. Ma le cose cominciano a degenerare quando cominciano ad apparire cadaveri di animali nel villaggio, forse un segnale che le creature siano a punto di attaccare…

Questo film vanta un cast eccezionale: William Hurt, Sigourney Weaver, Joaquin Phoenix, Adrien Brody e una giovanissima Bryce Dallas Howard (ormai da tempo sulla cresta dell’onda e vista di recente in Jurassic World: Fallen Kingdom, Jurassic World – Il regno distrutto, 2018). La colonna sonora è a dir poco splendida, così come il sonoro in generale con i versi delle creatue e gli scricchiolii della foresta costantemente a ricordarci il pericolo che circonda il villaggio. La regia è quadratissima e secondo me perfetta per creare l’atmosfera tesa e misteriosa che aleggia nel villaggio.

E la trama… ok, forse è per la trama che questo film ha la sua buona dose di detrattori. Il plot twist che funzionava tanto bene in The Sixth Sense, qui funziona forse meno bene. Questo sia perché è molto meno potente, tanto che il finale sembra quasi un anticlimax invece che un climax, sia perché è molto meno credibile (ci sono un po’ di cose che non tornano…). Se avete visto il film, sapete di cosa sto parlando. Inoltre, secondo me la storia soffre anche di un ruolo un po’ troppo preminente del personaggio di un Adrien Brody totalmente sopra le righe in cui le azioni di questo tonto del villaggio sono cruciali per far avanzare la trama.

Ma è sufficiente tutto questo a giustificare il tanto odio verso questo film e, più in generale, verso il suo regista? Secondo me assolutamente no. Forse la ragione è da cercare nella campagna di marketing che al tempo si preoccupò (stupidamente) di presentare il film come uno horror, mentre è in realtà un film drammatico con una grande storia d’amore dentro. E funziona come dramma? Sì. E funziona come storia d’amore? Sì. Quindi cosa funziona meno? Come detto, il finale un po’ deludente. Ma per quanto mi riguarda The Village è un film da vedere, con dei colori molto belli (la fotografia è di Roger Deakins), e anche con un messaggio molto interessante sulla società e su come sopravvivere alle difficoltà della vita e alla violenza che ci circonda.

Molto interessante infatti l’interpretazione offerta da Federico Frusciante (vedi link sotto) sul villaggio visto come gli Stati Uniti, un paese che anche quando non ha avuto un nemico esterno lo ha dovuto inventare, pur di non voler affrontare i suoi problemi e le sue paure interne. Come detto, la trama si presta a riflessioni che vadano oltre la storia dei personaggi che seguiamo, normalmente un segno di una certa profondità nella scrittura della sceneggiatura. Ciao!


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11 risposte a "The Village: recensione del film"

  1. Mentre leggevo pensavo proprio alla maldestra strategia di marketing che alla sua uscita ha tratto in inganno anche me, ma mi hai tolto le parole di bocca sul finale!
    L’ho rivisto un paio d’anni fa all’università e l’ho davvero rivalutato moltissimo, forse non tutto torna, come dici anche tu, e il twist non è forte come quello del Sesto Senso, ma è comunque un film molto bello che non merita tutto l’odio che si è attirato.
    Per la conclusione della trilogia di Unbreakable sono un po’ combattuto: Split a me proprio non è piaciuto, ma sono curioso di vedere dove andrà a parare.

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    1. Grazie per la lettura! Split ancora non l’ho visto, lo ammetto. Mi ero quasi fatto convincere dall’opinione vigente di un Shyamalan ormai perso (After Earth mi sembra insalvabile, ma in effetti non è un suo progetto, è più un family project di Will Smith) e non l’ho considerato al cinema. Però ora che sto cambiando la mia opinione, vedo di recuperarlo in DVD!

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      1. No no. Volevo fare su Shyamalan una cosa “Up and Down” come su Ridley Scott, ma alcuni non so se riuscirò mai a vederli (l’AirBender e AfterQuelCheÈ non so se ce la faccio a reggerli)… Sixth Sense è, a mio avviso, un’eccezione nella sua filmografia, come se l’avesse girato quasi per caso: a mio avviso, i film “veri”, quelli che recano di più la sua poetica cattolichetta scema sono il primissimo «Wide Awake», «Signs» e «The Village»: tutti gli altri sono corollari… — e a me Shyamalan non piace granché, lo prendo un po’ in giro nella recensione di «Attacco al treno» di Eastwood…

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