The Mule: recensione del film

themule-dianneclintThe Mule (uscito in Italia con il titolo The Mule – Il corriere) è l’ultima fatica cinematografica di quel giovanotto di Clint Eastwood, ormai quasi novantenne. Non solo lo ha prodotto e diretto, ma ne è anche il protagonista. Clint merita (quasi) sempre rispetto, quindi sono andato al cinema con le migliori intenzioni, nonostante mi fossero arrivate voci sulla qualità non proprio eccelsa del film. Ho fatto bene?

Beh, sì, ho fatto bene, però ammetto che The Mule non mi abbia soddisfatto a pieno. Partiamo dalla trama: Clint Eastwood interpreta Earl, un vecchio veterano dai modi spiccioli che ha sempre dedicato tutto sé stesso al lavoro e si trova in pessimi rapporti con la famiglia. E fin qui siamo su un terreno familiare, il personaggio è praticamente una versione solo leggermente rivisitata di Walt Kowalski di Gran Torino (2008)! Anche lo sceneggiatore del film, Nick Schenk, è lo stesso, e nelle interviste promozionali dice apertamente che il protagonista di The Mule altro non è che “l’altra faccia di Walt Kowalski“, nel senso che i veterani che ha conosciuto lui o sono degli amareggiati dalla vita come Kowalski o dolcissimi con tutti come Earl, se escludiamo la sua relazione con la famiglia.

In ogni caso, quando Earl si vede costretto a chiudere l’attività a causa della concorrenza su Internet, senza farsi grossi problemi accetta di fare da corriere per un cartello della droga messicano. Anzi, per IL cartello, ce n’è solo uno. Sì perché in questo film tutto è bidimensionale: i messicani spacciano droga e usano tante parolacce, la DEA lavora alacremente ma ottiene pochi risultati, la droga va da un non precisato punto A a un non precisato punto B e si trasforma in pacchi di soldi… Tutto è bidimensionale tranne Earl e il suo intorno familiare. Insomma, si capisce che il focus della storia è quello, ma sfortunatamente c’è tutto un contorno molto poco interessante che occupa la maggior parte delle due ore di film che alla fine si fa un po’ pesante da guardare.

Infatti seguiamo Earl nei suoi innumerevoli viaggi dal punto A al punto B di cui sopra e… questi viaggi sono tutti uguali: Clint guida, Clint canta con la radio, Clint parcheggia, Clint si allontana dal furgone, Clint torna al furgone e controlla i soldi, Clint guida, Clint parcheggia… Non sarebbe stato male se ci fosse stata un po’ di tensione in questi viaggi per trasportare centinaia di kg di cocaina per gli Stati Uniti, ma no, è tutto una scampagnata. Nel mentre, l’agente Bates (Bradley Cooper) fa di tutto per fermare il traffico di droga e nonostante un informatore nel cartello e un capo (Lawrence Fishburne) molto accondiscendente, non trova la quadra. Peccato che nel film questo sia solo abbozzato! Non è che mi aspettassi Heat di Michael Mann (1995) con Eastwood e Cooper al posto di De Niro e Pacino, ma in The Mule tutti i personaggi eccetto il protagonista sono delle macchiette, quasi non esistono. Fishburne, Cooper e Peña hanno pochissimo materiale con cui lavorare e i loro personaggi infatti non sono affatto memorabili.

Per non parlare dei messicani! Sono un po’ tutti uguali, intercambiabili, tranne Andy García che praticamente fa un cameo. E poi durante il film viene fatto fuori perché considerato un mollaccione dai suoi sottoposti… proprio quando nello stesso momento sappiamo che la DEA, l’agenzia antidroga statunitense, non riesce ad arrestare nessuno! Ma se le cose andavano tanto male per il cartello, perché vanno tanto male anche per la DEA? C’è qualcosa che non torna… cioè c’è una trama che per rendere le cose un po’ più avvincenti si avvale di un “colpo di scena” che viene dal nulla e, alla fine, non arriva a nulla. Peccato. A pensarci bene, anche il personaggio di Earl risulta interessante soltanto nelle interazioni con i familiari (l’ex-moglie interpretata da Dianne Wiest, la figlia interpretata dalla vera figlia di Eastwood, Alison, e la nipote interpretata da Taissa Farmiga). Invece, quando a contatto coi trafficanti, non fa una piega, anche la prima volta che viene accolto da gente coi mitra in mano. Come se nulla fosse, Earl ci parla come fossero dei ragazzetti qualunque, come faceva coi suoi lavoratori messicani nella piantagione. Insomma, almeno un po’ di paura avrebbe potuto avercela, dico io!

Quindi cosa rimane di questo film? Come detto, la storia di un uomo che dopo aver dedicato la sua vita al lavoro si accorge troppo tardi che le cose importanti sono altre, anzi, è soltanto una: la famiglia. E gli va pure bene, perché mentre all’inizio del film la figlia non gli parla e l’ex-moglie non vuole vederlo, alla fine quest’ultima l’avrà perdonato e la figlia ci parlerà e gli dirà pure che lo ama. Non è mai troppo tardi! E cos’altro rimane di questo film? Clint che guida. Sì, viaggiare, evitando le buche più dure… Ciao!


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