Memoirs of an Invisible Man: recensione del film

memoirs-of-an-invisible-manMemoirs of an Invisible Man (Avventure di un uomo invisibile in Italia, anche se di avventure ce ne sono poche) è un film del 1992 diretto da John Carpenter con protagonista Chevy Chase accompagnato, tra gli altri, da Daryl Hannah e Sam Neill. Va detto che il Carpenter del 1992 è molto diverso da quello che solo pochi anni prima aveva firmato capolavori come Halloween (1978), Escape from New York (1997: Fuga da New York1981)The Thing (La cosa1982), e Big Trouble in Little China (Grosso guaio a Chinatown1986). Infatti, dopo il fiasco al botteghino di quest’ultimo film, Carpenter si dedicò a due progetti indipendenti (Prince of Darkness, Il signore del male, e They Live, Essi vivono, nel 1987 e 1988) e poi si allontanò un po’ “bruciato” per qualche anno dall’industria.

Nel 1992 nasce il progetto Memoirs of an Invisible Man con Ivan Reitman alla regia, lo stesso di Ghostbusters (1984), per dire. Dopo qualche giorno di lavorazione il regista, non l’ultimo arrivato, andò dai produttori con un ultimatum: “Qui o mandate via Chevy Chase, o mandate via me.” I produttori lo buttarono fuori senza pensarci due volte e lo rimpiazzarono con Carpenter, che quindi arrivò a lavorare su un progetto non suo e senza poter chiedere controllo creativo sull’opera. Tornò così a lavorare a un film con un budget importante, ma si limitò alla regia: non è un caso che non abbia nemmeno chiesto di mettere il suo tradizionale “John Carpenter’s” di fronte al titolo.

Ma… il problema principale del film non era stato risolto: Chevy Chase, come aveva giustamente intuito Ivan Reitman, non era l’attore giusto per il ruolo di protagonista. Nessuna chimica con la controparte femminile Daryl Hannah, e soprattutto il suo talento comico non serviva a niente per un ruolo che alla fine è più drammatico che altro. Quindi il film è ben girato, naturalmente, ma è un po’ fiacco soprattutto perché colui che dovrebbe dare forza al film, Chevy Chase, non lo fa.

Per il resto la trama è interessante, con l’uomo invisibile che diventa tale per un incidente e che non è affatto una persona intenzionata ad usare questo suo potere per fini loschi o per fini supereroistici. E gli antagonisti sono uomini del governo, cosa che comunque avrà certamente fatto piacere a quell’anarchico sinistroide di Carpenter che non ha mai perso un’occasione per mettere in cattiva luce le autorità costituite. Ma pure qui si nota un certo problema di casting: sia l’agente della CIA interpretato da Sam Neill che il suo superiore interpretato da Stephen Tobolowsky non incutono il rispetto e la paura che dovrebbero. Nessuno dei due attori infatti sembra particolarmente dotato per un ruolo così negativo (Tobolowsky è il colonnello Nunziatella di Spaceballs, Balle Spaziali, di Mel Brooks!). Ma, come si dice, non tutto il male viene per nuocere: suppongo che Carpenter abbia conosciuto in quel momento Sam Neill e che abbia poi deciso di farlo protagonista due anni dopo di uno dei suoi film migliori: In the mMouth of Madness (Il seme della follia in Italia)!

Tornando al film, come non parlare della colonna sonora firmata da Shirley Walker, apparentemente la prima donna a firmare una colonna sonora orchestrale in un film ad alto budget di Hollywood? La musica è buona, ma… non è di Carpenter! Il regista ci ha regalato splendide colonne sonore e solo raramente non ha composto la musica di un suo film. Memoirs of an invisible man è una delle eccezioni, altra “prova” del fatto che qui il regista ha fatto quello che gli hanno chiesto di fare a testa bassa e niente di più. Di fatto mi ha sorpreso notarlo nel cameo da pilota di elicottero verso il finale del film! Insomma, come concludere questa breve recensione del film? Sono contento di averlo visto e di aver aggiunto il DVD alla mia collezione per motivi di completezza (borderline patologici), e sono certo che lo riguarderò, ma se dovessi consigliare a qualcuno un film di Carpenter sinceramente non mi verrebbe questo in mente. Ciao!


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14 risposte a "Memoirs of an Invisible Man: recensione del film"

  1. Recensione ad hoc che giustamente sottolinea il nocciolo della questione: questo è un film diretto da John Carpenter ma non è davvero un film DI John Carpenter… trattasi di lavoro su commissione in cui troviamo la sua consueta solida professionalità, certo, ma non molto più che questo (per cause di forza maggiore, è evidente).
    P.S. Il cameo da elicotterista fa il paio con quello analogo visto in “Starman” 😉

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    1. Assolutamente. Per completezza nei confronti dell’opera del maestro va visto, ma va considerato per quello che è, un lavoro su commissione con un Carpenter a testa china dopo anni senza lavoro per aver preferito fare quello che voleva invece di quello che volevano i produttori!

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  2. Non mi aspettavo una recensione su questo film. Sono rimasto piacevolmente stupito. Io amo tutto di Carpenter e questo è stato il suo primo film che ho visto da bambino. Niente a che vedere con il resto della sua filmografia, e penso che se il film su salva è per merito della regia e l’interpretazione di Sam Neill. Chevy Chase non mi è mai piaciuto invece. Grazie per questo post 😊

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    1. Questo è un film strano: è conosciuto pur essendo stato un super flop, e comunque la gente non lo associa a John Carpenter. Mi è parso di aver qualcosa di interessante da scriverci su e quindi l’ho fatto, grazie per i complimenti!

      E anche io amo tutto di Carpenter, naturalmente! :–)

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      1. Che poi, a conti fatti, quanti film di Carpenter sono stati dei successi di pubblico? forse solo Halloween, 1997, e Christine. Altri invece hanno recuperato i costi di produzione ma non sono stai campioni al box office. Ed è un gran peccato vista la qualità delle sue opere.
        Mi hai fatto venire voglia di scrivere un post dedicato a Carpenter… credo proprio che lo farò.

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        1. Anche Escape from New York guadagnò più di quattro volte il suo budget, ma comunque in genere sì, Carpenter non portava vagonate di milioni ai produttori.

          E un post su di lui è sempre un’ottima idea! Io sto scrivendo varie recensioni qui sul blog (ci sono già Assault on precinct 13, Halloween, The fog, Vampires e Memoirs) e poco a poco ho intenzione di scriverne altre! Sono ansioso di leggere quello che scriverai (anche di lui puoi fare un primo Carpenter e un secondo Carpenter come con Tim Burton)! :–)

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  3. Si dice che Carpenter, facendo un buon lavoro su questo film, sperasse di rendersi appetibile come regista affidabile agli studios… in qualche modo funzionò: 3 anni dopo la Universal gli dette il remake di «Village of the Damned» e la Paramount gli dette via libera per «Escape from L.A.»… ma nulla, furono tutti flop su flop… o forse è vera la convinzione di Carpenter: che Hollywood lo boicotta da sempre (come boicottava George Romero), con promozioni farlocche e con “contropogrammazioni” virulente (è famosa la Paramount che mette su baracca e burattini per «The Golden Child», con una allora star come Eddie Murphy, apposta per andare contro alla Fox e al Carpenter di «Big Trouble in Little China», sguarnito di attori di richiamo)… la sua carriera è un manifesto della resistenza/vitalità delle storie buone nell’indistinto dell’industria: i suoi film sono riemersi negli anni come top tecnici e creativi, nonostante la coltre hollywoodiana tirata su in quantità apposta per nasconderli… una storia di “resistenza sotterranea” che ha vinto nel tempo, ma con un rovescio della medaglia amarissimo: Carpenter è stato un talento misconosciuto, relegato sempre nelle retrovie, e oggi vecchia gloria ancora incapace di parlare a chiunque nel business: neanche Netflix o Showtime o Amazon lo contattano (Showtime ha concesso l’ultima zampata di leone a David Lynch, in barba a ogni logica, Amazon garantisce libertà a Jarmusch e Woody Allen [oggi bruciato dal #metoo] e su Netflix punta gente come Cronenberg, Cuarón, Zemeckis, Garland; ma nessuno di questi agglomerati mediatici contratta niente con Carpenter)… una sorte toccata ad altri pazzoidi, più o meno coetanei, ribelli al sistema hollywoodiano degli anni ’70 e ’80: Cimino (che però, al contrario di Carpenter, era davvero uno “spostato”), Friedkin (molto più facilone e con meno cognizione di causa di Carpenter), Coppola (assurdo artistoide che preferisce inseguire una quasi delusionale “innovazione” piuttosto che fare film veri), Milius (retrogrado fascitardo in preda a traumi personali): rispetto a tutti questi, Carpenter ha sempre avuto maggiori competenze tecniche e maggiore coesione creativa, ma, come loro, l’industria lo ha allontanato… — ma la storia potrebbe essere anche un’altra: in tempi di nostalgie, reboot e remake, tante sono le storie che Carpenter venderà a quell’industria che lo ha marginalizzato, e si godrà quei soldi in panciolle e in pensione invece di spenderli faticosamente a fare altri film!

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    1. Povero Carpenter… come giustamente hai detto almeno Escape from LA glielo fecero fare, ma deh… un regista così bravo che negli anni 90 riesce praticamente a fare tre film (Escape, In the mouth of madness e Vampires) dopo che negli anni 80 ha firmato dei capolavori del cinema… che tristezza!

      Io credo che lui abbia vissuto parecchio male sia la fine degli anni 80 (post delusione da Big trouble in Little China) sia gli anni 90 a lavorare in roba che non gli interessave (Memoirs, Village). Poi suppongo si sia messo l’animo in pace.

      E ora fa i tour suonando la sua musica in concerti strepitosi (quando l’ho visto l’anno scorso ho avuto i brividi praticamente tutto il tempo), guarda l’NBA, gioca ai videogiochi che gli piacciono, e si gode gli assegni che, come giustamente hai scritto, gli arrivano copiosi (ora dovrebbero pure fare il remake di Big trouble con The Rock).

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