Salvador (Puig Antich) è un film del 2006 diretto da Manuel Huerga con Daniel Brühl (Goodbye Lenin, 2003, Inglorious Basterds, 2009) come protagonista (in Italia è uscito col titolo Salvador – 26 anni contro). Narra la storia vera, pur se romanzata, della cattura, dell’imprigionamento e dell’esecuzione del giovane Salvador Puig Antich all’inizio degli anni Settanta nella Spagna governata dal dittatore Francisco Franco. Di passaggio, il film racconta anche la situazione politica del tempo pur se non ne approfondendisce troppo gli aspetti più controversi. Il film vinse soltanto un Goya come miglior sceneggiatura non originale (è infatti basata su un libro di Francesc Escribano) in un anno in cui c’era una concorrenza spietata viste le uscite di Volver di Almodóvar e del colossal iberico Alatriste di Agustín Díaz Yanes con Viggo Mortensen come protagonista.
Avrebbe meritato di più questo Salvador? Bisogna dire che è certamente un’opera d’impatto e conta su una storia reale molto forte, un cast eccezionale pieno di volti noti del cinema spagnolo, e una colonna sonora molto buona firmata dal bravo musicista catalano Lluís Llach ed impreziosita dall’uso di canzoni come Locomotive Breath dei Jethro Tull, Starless dei King Crimson e In a Gadda da Vida degli Iron Butterfly in alcune scene del film. Io c’ho pianto come una fontanta, inutile nasconderlo! D’altronde sembra essere questo l’obiettivo principale del regista, visto che dedica la maggior parte del girato ai rapporti di Salvador con la sua famiglia, con l’amichevole guardia carceraria Jesús interpretata dal bravissimo Leonardo Sbaraglia (eccellente anche in Relatos salvajes del 2014, per dirne uno), e col suo avvocato Oriol Arau (Tristán Ulloa, visto in un’altro film “impegnato” come El lápiz del carpintero del 2002).
E sono tutti rapporti interpersonali molto profondi, emotivi e quindi, data la tragicità degli eventi, estremamente tristi. C’è forse qualcosa di male in questo? No, assolutamente no, se non che il personaggio di Sbaraglia è certamente troppo sopra le righe: è difficile credere all’esistenza di una guardia carceraria così buona, che gioca a basket e a scacchi col prigioniero politico più pesante di tutta la carcere, e addirittura arriva a rinnegare Franco durante l’esecuzione della condanna a morte di fronte a tutti i colleghi e ad un nutrito gruppo di esponenti della brigada politico-social, cioè la Gestapo del tempo. No, mi dispiace ma a questo non credo minimamente, anche se capisco che la tentazione di inserire un tale personaggio per massimizzare l’emotività delle scene finali fosse troppo grande perché il regista ci rinunciasse. Di fatto, questo è ciò che ha funzionato meno con me visto che mi ha fatto immediatamente dubitare della verdicità di tale comportamento e tanti saluti alla sospensione dell’incredulità. Ma questo è certamente un problema mio!
In ogni caso, con tutto questo non voglio dire che il film si sia dimenticato di mostrare cosa stesse succedendo in quegli anni a livello sociale e politico: ci viene mostrata la lotta armata del MIL (Movimiento Ibérico de Liberación) a cui apparteneva Puig sia nelle sue azioni più violente sia nelle sue riunioni con tanto di accese discussioni sulla necessità della lotta armata. Niente di particolarmente sorprendente per noi italiani purtroppo abituati a simili scenari nel nostro paese proprio in quegli anni. Ed entrano nella trama anche l’attentato dell’ETA contro Carrero Blanco che tanta importanza rivestirà nella condanna a morte del giovane catalano.
Però… però rimane un po’ troppo sullo sfondo come questa condanna a morte abbia segnato l’inizio della fine del regime franchista che dimostrò tutta la sua arretratezza garrotando Salvador (ed un altro condannato a morte, il polacco Heinz Chez) in un anno in cui la Spagna stava contrattando la sua entrata nel Mercato Unico Europeo. Lo stesso Salvador in carcere sembra essere completamente apolitico, cosa un po’ strana vista la sua storia pluriennale, nonostante la sua giovane età (fu giustiziato quando aveva solamente 25 anni), di anarchico militante.
In ogni caso, credo che sia un film meritevole perché è giusto raccontare storie così, pur se tristi e tragiche. E un film del genere dimostra come il grande bisogno di denunciare la brutalità di un regime fascista violento come fu quello franchista sia grande nella Spagna odierna (in fondo questo film è di pochi anni fa) che non ha potuto ancora fare i conti col suo passato a causa di leggi che per facilitare il ritorno alla normalità dopo la dittatura hanno sacrificato la ricerca della verità (vedasi anche l’ottimo documentario El silencio de otros che ho recensito qualche mese fa). Le ottime intenzioni del film mi hanno fatto anche sopportare una fotografia digitale bruciatissima che, pur se fatta con l’intento di rendere il tutto più anni Settanta, mi ha fatto sanguinare gli occhi per tutte e due le ore di durata del film. Ciao!
Link esterni:
- Trailer del film su Youtube
- La pagina del film su Internet Movie DataBase
- Recensione del film su Diario di Rocco Biondi
- Recensione del film su Sentieri selvaggi
Una risposta a "Salvador (Puig Antich): recensione del film"