I, Mudd (Io, Mudd) non è un bell’episodio. Non soltanto perché riprende un personaggio abbastanza imbarazzante di un episodio mediocre della prima stagione (Il filtro di Venere), ma anche perché per l’ennesima volta ricicla un’idea già vista prima nella serie, e ben due volte (ne Il ritorno degli Arconti e in La sfida)! Infatti, ecco di nuovo il tema dell’eccessiva freddezza dell’intelligenza artificiale e del bisogno di emozioni per vivere vite degne di essere vissute.
Va detto che l’intento dell’episodio è quello di far ridere, come è evidente dai siparietti tra Mudd e la sua moglie-androide (Kay Elliot) e dalla recitazione completamente sopra le righe di un Roger C. Carmel ancora una volta nei panni del simpatico (si fa per dire) e baffuto panzone. Questo però, almeno ai miei occhi, non giustifica un trama che sa di già visto e una serie infinita di cliché sessisti che, pur se come sempre giustificabili vista l’epoca, fanno sempre storcere un po’ la bocca.
La trama è la seguente: un androide infiltrato a bordo della USS Enterprise (Norman, interpretato da Richard Tatro) riesce a prenderne il controllo e a portarla fino ad un pianeta dove Harry Mudd è trattato come un re ed è circondato da belle donne. Ben presto Kirk e gli altri capiscono che Mudd sta regnando su una popolazione di androidi che in quattro e quattr’otto sostituiscono l’equipaggio dell’Enterprise in una missione per andare a sostituire l’umanità che giudicano imperfetta.
Gli androidi non sono malvagi: infatti promettono grandi cose ai membri della Flotta Stellare, e in particolare belle donne a Chekov e la promessa della bellezza eterna a Uhura (olé!). La cosa si risolverà come spesso accade ultimamente con Kirk che manderà in tilt gli androidi così come aveva fatto con Landru e con Nomad.
Insomma: Mudd gigioneggiante l’avevamo già visto e non si sentiva il bisogno di ritrovarlo. Kirk che sconfigge un computer dimostrando la sua illogicità sta cominciando a stancare, anche perché fa il paio con gli episodi in cui la ferrea logica vulcaniana viene messa in discussione (come in La Galileo) e alla fine, gira e rigira, il tema è sempre lo stesso. Il risultato? Un episodio da dimenticare, almeno per me! Ciao!
Episodio precedente: Il gatto nero
Episodio successivo: Guarigione da forza cosmica
Quante cose oggi vediamo come ripetitive, mentre ai tempi dovevano quasi certamente essere sembrate concetti interessanti da ribadire e rielaborare più volte 😉 Che dire, poi, di quel cialtrone di Harry Mudd? Non è che non fosse un personaggio divertente per i canoni dell’epoca, questo no, ma alla fine non gli è mai stata concessa una reale possibilità di evolvere (visto che riapparirà un’altra volta solo nella serie animata, se vogliamo escludere le sue “retroattive” apparizioni giovanili in Discovery)… Qui, perlomeno, ci eravamo distaccati dalla palese mediocrità de “Il filtro di Venere, ma per affezionarsi davvero al Mudd televisivo ci sarebbe voluto qualcosa di più (se non altro, libri e fumetti si sono ricordati di lui, cercando di dargli un po’ di quello spessore che non avrebbe potuto raggiungere con una così scarna manciata di episodi a disposizione).
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Forse effettivamente l’umorismo del personaggio di Mudd va visto con gli occhi di 50 anni fa, ma per qualche ragione mi risulta più difficile vederlo nel contesto rispetto ad altre ingenuità della serie (su tutte, quelle sessiste). Anche il contrasto tra la stupidità del personaggio e il tema serio dell’episodio (pur se ripetuto) non mi ha aiutato a godermi la storia, ammetto… insomma, meglio de Il filtro di Venere? Probabilmente si, ma comunque sotto la media a cui ci ha abituato la serie originale!
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