A cambio de nada (per l’Italia: A cambio de nada – Nulla in cambio) è il primo lungometraggio da regista (e sceneggiatore) di Daniel Guzmán. Uscito nel 2015, vinse ben due Goya: uno come miglior regista esordiente e l’altro al miglior attore emergente per Miguel Herrán, che da allora ha fatto fortuna nella blasonata serie La casa de papel. Di che tratta il film?
Darío (Miguel Herrán) ha sedici anni e vive con la madre (Adelfa Calvo) che è separata dal marito (Luis Tosar). Il suo unico amico è LuisMi (Antonio Bachiller) che vive nel suo stesso palazzo, e insieme passano le giornate in giro con la moto, rubando in negozi vari, e spiando la vicina adolescente (María Miguel) per cui entrambi hanno una cotta. Inutile dire che a scuola Darío è un disastro e che finisce per frequentare gente da cui è meglio stare alla larga come il meccanico disonesto Felipe Vélez che gli fa praticamente da maestro di vita coi suoi saldi principi (si fa per dire).
A cambio de nada non mi ha entusiasmato. L’ho trovato una copia di Barrio, film del 1998 di Fernando León de Aranoa (con Guzmán nel cast!), però con una sceneggiatura più zoppicante e dei dialoghi meno brillanti. Mi è anche risultato difficile empatizzare con il protagonista che ho trovato un po’ piatto, schiacciato tra due stati: pre-separazione dei genitori era apparentemente uno studente modello, post-separazione è un delinquente che arriva a rubare una cassaforte da un negozio come un vero criminale incorreggibile. Ma secondo me questo è un problema generale della sceneggiatura del film che fa dei salti logici notevoli, introduce e abbandona personaggi senza preoccuparsi di creare archi narrativi completi, e contiene situazioni surreali che appaiono forzate e poco credibili.
Per esempio la sottotrama della signora anziana (Antonia Guzmán, nonna del regista) che prende sotto la sua ala protettrice Darío arriva dal nulla e scompare nel nulla. E di tutte le prostitute di Madrid, Darío e LuisMi scelgono proprio quella scelta dal padre di Darío quella stessa notte a quella stessa ora! Poi, per tutta la parte centrale del film anche i genitori di Darío vengono dimenticati (probabilmente il basso budget permetteva di avere Tosar sul set per un paio di giorni, quindi per forza di cose le sue scene sono poche), e la risoluzione finale del ritorno del padre a casa è lasciato ad un veloce dialogo. Non sappiamo perché i genitori si fossero separati, non capiamo perché tornano insieme!
Date queste caratteristiche, il messaggio del film sembra essere un semplicistico “volemose bbene“, un generico grido contro il divorzio e a favore dello stare insieme a tutti i costi per il bene dei figli. Forse non era questa l’intenzione del regista ma dati i pochi spunti interessanti fatico a vedere altro in questo film che, credo, non riguarderò. A cinque anni dal questo debutto, Guzmán non è ancora tornato dietro la macchina da presa, e forse non ci stiamo perdendo troppo. Ciao!
Link esterni:
- Trailer del film su Youtube
- La pagina del film su Internet Movie DataBase
- Recensione del film su Cineuropa
beh, da quanto mi dici nn poteva essere una commedia degli equivoci? se è stata tanto apprezzata forse si rifà alla tradizione spagnola
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Mah… Guarda, dà proprio l’impressione di essere un lavoro acerbo. Comunque il Goya a miglior regista esordiente l’anno prima lo vinse quello di La llamada che è proprio una roba inenarrabile, quindi mi fiderei fino ad un certo punto di questi premi, ecco!
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