The Crow: recensione del film

31 marzo 2021: esattamente 28 anni fa moriva, appena 28enne, Brandon Lee. Oggi vengonofuoridallefottutepareti lo ricorda con una recensione del suo film più conosciuto.

The Crow, Il corvo, 1994. Non so nemmeno da dove cominciare per scrivere di questo film che è considerato un cult movie e che ha segnato così tanto gli anni Novanta in cui ero adolescente. Arrivai ad odiare la frase “Non può piovere per sempre“, traduzione dell’originale “It can’t rain all the time“, che si trovava scritta dappertutto sia sui banchi e muri di scuola che su tutte le panchine della città. Eppure il film mi piaceva, eccome se mi piaceva! Da grande fan di Batman ci rivedevo molto del gotico che Tim Burton aveva infuso nel suo film del 1989: una città oscura e pericolosa con edifici pieni di gargoyle rigurgitanti pioggia, un protagonista nero e tenebroso aiutato da un bravo poliziotto, dei malviventi fuori di testa da far fuori senza pietà, un finale in cima ad una torre col cattivo che fa un meritato volo verso la morte… I punti in comune si sprecano!

Avevo pure i primi quattro numeri del fumetto di James O’Barr da cui era stato tratto il film e ricordo che li leggevo e rileggevo senza stancarmi mai. E poi le leggende urbane su Brandon Lee erano un argomento principe di discussione: il povero attore morì in un incidente sul set (per i dettagli vedi sotto) interpretando un personaggio in procinto di sposarsi proprio come lui stesso stava per fare con la sua ragazza Eliza Hutton (il film è dedicato proprio a loro). E nell’era pre-Internet ecco che si vociferava che fosse stato ucciso a proposito, che fosse una trovata pubblicitaria, e mille altre idiozie del genere.

Insomma, qui si entra in Viale Nostalgia per quanto mi riguarda, quindi scordatevi una recensione oggettiva. Ho riguardato The Crow dopo venti anni e più dall’ultima volta e… l’ho adorato. Che ci posso fare? Ho pianto più volte durante la visione, finale incluso, e mi è piaciuto tutto quello che ho rivisto. Vista la trama striminzita (il protagonista torna dal mondo dei morti per far fuori quelli che hanno ucciso lui e la sua fidanzata un anno prima), il film gioca tutto su un’atmosfera che più gotica di così si muore, su una colonna sonora strepitosa (c’è dentro anche la miglior canzone mai registrata dai The Cure: Burn), e su svariate scene memorabili. D’altronde Alex Proyas (che pochi anni dopo, nel 1998, ci regalerà anche quel gioiellino ingiustamente dimenticato di Dark City) veniva dal mondo dei videoclip musicali quindi non era difficile per lui comporre immagini di breve durata ma dal forte impatto: Eric Draven (Brandon Lee) che suona la chitarra elettrica sul tetto, il corvo in volo sulla città, la benzina bruciata che dà forma al simbolo del corvo stesso, il cattivissimo Michael Wincott (è il cattivo per eccellenza degli anni Novanta, come ricordato da La bara volante) che inala quantità disumane di cocaina mentre la sua sorellastra brucia occhi umani, Eric che corre sui tetti (si, ci sono un sacco di tetti)…

E per tirar fuori un lungometraggio da quattro piccoli fumetti parchi di dialoghi ecco una caratterizzazione di personaggi certamente sopra le righe ma senza dubbio efficace. I quattro esecutori materiali degli omicidi di Eric e della sua Shelly (Sofia Shinas) diventano quindi il piromane T-Bird (David Patrick Kelly, già in The Warriors, I guerrieri della strada, 1979, di Walter Hill), l’asso dei pugnali Tin Tin (Laurence Mason), il codardo Skank (Angel David) e il dipendente da morfina Funboy (quel Michael Massee che uccise suo malgrado Brandon Lee e che ebbe incubi sulla cosa fino al giorno della sua morte avvenuta nel 2016). Eric li ucciderà uno ad uno avendo cura che gli omicidi rispecchino le loro fissazioni. E di mezzo ci andranno anche quei pervertiti di Top Dollar (Wincott) e Myca (Bai Ling) insieme a decine di loro scagnozzi!

Ma se gli antagonisti hanno tutti dei nomi ridicoli e si atteggiano come dei bambini di otto anni (violentissimi, ma con quel senso della decenza lì), i protagonisti del film sono tutti da incorniciare: Eric, naturalmente, ma anche l’agente Albrecht (Ernie Hudson, il Ghostbuster che nessuno considera!) e Sarah (Rochelle Davis, ovvero un’altra persona che da questo film non è uscita benissimo). Ognuno di questi personaggi dà un segnale di speranza in un mondo nerissimo dove i criminali comandano e non c’è mai il sole. Ma tutti quelli che arrivano da videoclip girano film con città scurissime e piovose? Sì, sto parlando con te, caro il mio Fincher!

Ma sto divagando. The Crow è per me un gioiellino degli anni Novanta, un film che ha contribuito a definirli quegli anni, un po’ come la musica grunge o Friends, per fare due esempi a caso. È triste che non possa altro che entrare nella storia per essere il film per cui è morto il giovane Brandon Lee, questo sì, e probabilmente è anche questa consapevolezza che mi rende così sensibile guardando il film (ma chi voglio prendere in giro? Ormai piango anche di fronte alle pubblicità dei frollini!)…

E come è morto Brandon Lee? Apparentemente per risparmiare non venne pagato un consulente di armi da fuoco presente sul set tutti i giorni, come invece sarebbe stato giusto. E le basilari norme di sicurezza venivano bellamente ignorate: per esempio le pistole venivano puntate davvero contro gli attori (cosa che si tenta di evitare giocando con le inquadrature), di controlli non ne venivano fatti e in alcune scene invece di usare proiettili inerti venivano usati proiettili veri a cui veniva tolta la polvere da sparo. Uno di quei proiettili rimase incastrato nella canna di una pistola che poi, caricata con cartucce a salve (cioè con polvere da sparo ma senza proiettile), fu usata nella scena in cui Eric entra nel suo appartamento e trova i quattro malviventi che stanno violentano Shelly. Quel proiettile incastrato nella canna espulso a grande velocità colpì il povero Brandon Lee al petto e per lui non ci fu niente da fare, nonostante sei ore di sala operatoria in un ospedale della North Carolina.

Incidente, nessun responsabile se non la negligenza. Aggiungo io che non aiuta che sul set girassero ammontari di cocaina simili a quelli consumati da Top Dollar e compagni nel film, ma suppongo che questo si possa dire di tanti altri film in cui, fortunatamente, non è morto nessuno (ricordo un’intervista a Schwarzenegger dove diceva che negli anni Ottanta la cocaina la trovavi in camerino e era parte dell’ingaggio).

Insomma, il film fu completato con Chad Stahelski a filmare le scene di Eric che mancavano (ed ecco perché tutte quelle soggettive e quelle inquadrature su piedi e spalle del protagonista), quello stesso Stahelski che poi ha finalmente raggiunto un meritato successo coi suoi recenti film di John Wick (il primo è del 2014).

E così chiudo la mia recensione di The Crow, Il corvo, inevitabilmente parlando della perdita di Brandon Lee morto ventottenne su un set cinematografico. Questa cosa mi fa uscire di testa se penso a come è successa, e non posso che ripensare con tristezza a questo che per me comunque rimane un buon revenge movie che merita certamente la visione dopo più di 25 anni dall’uscita. Ciao!


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22 risposte a "The Crow: recensione del film"

  1. Grazie per il link, e come sai io – essendo Leggenda – sono l’unico al mondo non solo a non aver amato il film, ma a disprezzarlo profondamente. Preferisco l’originale, “Il giustiziere della notte 3” (1985), strutturalmente identico ma molto più divertente 😛

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  2. Grazie per le citazioni, questo lungo videoclip ha influenzato almeno un paio di generazioni, di artisti ma anche di costumi di carnevale (e Halloween), insomma Brandon Lee ci ha lasciato nel mito, sarà da qualche parte ad allenare il suo Kung Fu con papà 😉 Cheers

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  3. Un film affascinante da morire! L’ho visto relativamente tardi quando un mio amico mi ha prestato il dvd, ma la sua estetica gotica è qualcosa che mi ha perseguitato per un sacco di tempo. Certi suoi aspetti sono effettivamente stati molto abusati, e lo sono ancora oggi (qualsiasi adolescente tormentato che vuole darsi un tono cita ancora Il Corvo), ma per me è sempre segno di quanto impatto abbia avuto e continui ad avere nell’immaginario della gente. E sì, la morte di Brandon Lee è stata davvero una tragedia; come nel caso di Heath Ledger l’idea di tutto quel potenziale andato sprecato mi manda in bestia.
    Non ho mai letto il fumetto, però; mi è stato consigliato più volte, ma non mi ci sono mai messo.

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    1. Davvero un film che è entrato nella storia del cinema e con grande merito, se posso dire la mia.

      Ed è davvero triste come grandi talenti come Lee, Ledger e Yelchin, se posso aggiungerlo, se ne siano andati così giovani. :–(

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  4. Il fumetto di O’Barr uscì in 4 volumetti spillati con 2 copertine diverse ognuno, poi un numero zero, poi il tutto raccolto in un unico volume.
    E quindi giù a ricopiare ovunque i disegni più suggestivi…
    Spero che quella decina di volumetti siano ancora a casa dei miei.
    Questo film ci ha segnati tutti…

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  5. Grazie per il link, ho trovato questo pezzo un po’ per caso dal sacro internet.
    Ho rapporto di odio/amore con questo film dato che a mio parere gioca sul filo del rasoio tra cult e baracconata. Nonostante siano passati secoli ancora non so darmi una risposta.
    Seb. IlCinemista

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    1. Ciao! Ha sicuramente degli elementi baracconata, te ne do atto, ma io non ho dubbi sul considerarlo cult (forse è anche un certo effetto nostalgia a “corrompermi”)! :–)

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