Led Zeppelin: un post musicale

Sono più di venti anni che se qualcuno mi chiede quale sia il mio gruppo musicale preferito rispondo senza esitazione: Led Zeppelin. Ammetto che questa domanda mi veniva fatta molto più spesso quando ero giovane rispetto ad ora, essendo una domanda abbastanza idiota, ma il punto è che sin da adolescente ho cominciato ad amare la musica dei Led Zeppelin e non ho mai smesso, e tuttora sono tra i gruppi che ascolto di più in assoluto.

Perché parlarne sul blog? Perché mio fratello mi ha regalato la bella rivista di cui vedete parte della copertina qui sopra e una pagina qui sotto che è tutta dedicata ai Led Zeppelin e leggerla è stata come fare un tuffo nel passato a quando nel 1999 lessi Il martello degli dei di Stephen Davis, la biografia non autorizzata della band. È uno dei libri di cui ricordo più cose tra quelli letti in quel periodo, visto che era letteralmente pieno di aneddoti succulenti che non potevano non colpire la fragile mente del me adolescente.

Quel libro narrava la storia di come Jimmy Page fece nascere dalle ceneri degli Yardbirds la più potente band di rock and roll della storia trovando un batterista e un cantante di campagna incredibili, John Henry “Bonzo” Bonham e Robert Plant, e affidandosi ad un session man d’esperienza come John Paul Jones al basso. E Davis la narrava infarcendola di storie di cocaina e eroina, presunto satanismo, alcool e sesso, visto che le groupie non mancavano e gli eccessi nemmeno.

Ma al di là del folklore che circonda i Led Zeppelin, rimangono una manciata di album in studio ed innumerevoli registrazioni live che ancora adesso suonano freschissimi e potentissimi. Forse in questa mia insistenza nel mettere sul gradino più alto del mio personale podio musicale ha giocato anche il fatto che il primo album del gruppo fosse uscito il giorno del mio compleanno, ma qualche anno prima di me, nel 1969. Un ottimo esordio che pescava a piene mani dalla musica blues esistente e che altro non era che un preludio a Led Zeppelin II, uscito qualche mese più tardi sempre nello stesso anno. Una cosa da non credere, direi, visto che dentro c’erano pezzi come Whole Lotta Love, Thank You e Ramble On, scusate se è poco.

Ma Page in quel periodo era inarrestabile, quindi ecco Led Zeppelin III nel 1970 e Led Zeppelin IV l’anno dopo, l’album con Stairway to Heaven (potreste averla sentita qualche volta, la cita pure Mike Myers in Wayne’s World, Fusi di testa, 1992, come la canzone più suonata nei negozi di chitarre). Quattro album diversi tra loro ma accomunati da un’energia, una tecnica e una chimica mai viste prima. E come se fosse poco, Page fece pure da produttore, una figura che nel mondo della musica fa quello che fa il regista nel mondo del cinema, decidendo come registrare i pezzi e scegliendo le sonorità dell’album. 

Dopo questi tre anni in cui i Led Zeppelin cambiarono la storia del rock (non erano soli, visto che in quegli anni apparvero Deep Purple, Black Sabbath, Jethro Tull, King Crimson, Grand Funk Railroad… la lista è infinita!), il suono del gruppo continuò ad evolvere, anche se Page lasciò spazio a Jones nella direzione della band soprattutto per ragioni non legate alla musica ma alla sua dipendenza dall’eroina. La qualità non scese nemmeno un po’, va detto! Kashmir, giusto per nominarne una, viene dal sesto album, Physical Graffiti (1975), mentre una delle mie preferite, No Quarter, è del quinto (Houses of the Holy, 1974).

Come la storia sia andata a finire lo sanno tutti, con due declini legati a doppio filo. Quello dei grandi del rock schiacciati da nuove mode (su tutte il punk) e quello personale dei vari membri del gruppo, che nel caso di Bonham portò ad una morte prematura nel 1980. E gli altri tre decisero, giustamente, di chiuderla lì.

Per anni questo poster ha campeggiato in camera mia!

Tornando alla rivista che ha ispirato la scrittura di questo post, mi è piaciuta molto la parte dedicata alle carriere post-Led Zeppelin di Page, Plant e Jones, grazie alla quale ho scoperto un po’ di musica che non conoscevo. Da parte mia, posso dirmi contento di aver visto Robert Plant dal vivo nel 2000 e nel 2006 al mitico Pistoia Blues Festival e John Paul Jones coi Them Crooked Vultures nel 2010 al Download Festival di Donington

Il 14 luglio del 2000 (dopo aver sentito la Band Blues Band, i Bluesheads, e G. Love and the Special Sauce col cantante dal look più tremendo mai visto), Plant accompagnato dai Priory of Brion fece un concerto pieno di canzoni che ne avevano influenzato la vita artistica e che sinceramente non mi piacquero molto (fece pure Gloria, G-L-O-R-I-A Gloria). Quando accennò qualcosa dei Led (dalla canzone Houses of the Holy) cantando “Let the music be your master” tutti impazzimmo e cominciamo a urlare LED ZEPPELIN! LED ZEPPELIN! ma niente, non cantò nessuna delle canzoni che lo resero famoso… Io mi godetti comunque il concerto dalla terza fila e trovai Plant totalmente ipnotico. E poi dopo suonò B.B.King, niente male come giornata!

L’11 luglio 2006 tornai a Pistoia a vedere Robert Plant, stavolta accompagnato dagli Strange Sensation e questa volta sì che cantò un bel po’ di canzoni dei Led Zeppelin! Grandissimo concerto, con la piazza che esplose dall’entusiasmo sul finale di Whole Lotta Love! E poi Black Dog, Four Sticks, Gallows Pole, Friends, Going to California… che concerto!

L’11 giugno del 2010 invece me ne andai bel bello a Donington al Download Festival dove prima degli AC/DC suonavano i Them Crooked Vultures, un cosiddetto supergruppo formato da Dave Grohl alla batteria, Josh Homme a chitarra e voce e John Paul Jones al basso e vari altri strumenti (ne suonò uno diverso in ogni canzone, praticamente). Onestamente non è che il loro unico album mi abbia mai entusiasmato troppo: scritto evidentemente al 99% da un Josh Homme lontano da quello dei Kyuss e più vicino agli ultimi Queens of the Stone Age, le canzoni dell’album mi stancano molto rapidamente (in più il missaggio che risente moltissimo della loudness war non mi aggrada per nulla).

Dal vivo, però, tre musicisti così completi non potevano non offrire un grande spettacolo, e il concerto fu entusiasmante, con ognuno di loro (incluso il secondo chitarrista Alain Johannes) che offrì momenti di improvvisazione notevoli. Da notare come Grohl rimase seduto alla batteria con la testa poggiata sulle mani a godersi come un fan qualsiasi i cinque minuti di Jones da solo alle tastiere.

Ed è tutto, credo. Sui Led Zeppelin in realtà potrei scrivere un post al giorno su questo blog per i prossimi trent’anni, ma mi limiterò a questo semplice omaggio. Keep on rockin’, ciao!

PS: degli AC/DC parliamo un altro giorno. 

PPS: Naturalmente conservo ancora i biglietti di tutti i concerti di cui ho parlato:


26 risposte a "Led Zeppelin: un post musicale"

    1. Entrambi i concerti di cui ho parlato sono stati splendidi! Di quello di Plant ho proprio un ricordo sognante, anche perché è stato uno dei miei primi concerti in assoluto… :–)

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    1. Ma invidia buona, no? :–)

      Di entrambi i concerti di cui ho scritto serbo un gran bel ricordo, effettivamente! A più di 20 anni di distanza, ancora mi ci vedo davanti a Plant che canta a Pistoia…

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  1. Ho 35 anni quindi non ho vissuto la loro epoca ma i Led Zeppelin sono tra i miei gruppi preferiti in assoluto. Nella mia auto non devono assolutamente mancare e la tua testimonianza è preziosa per chi magari non li conosce in maniera più dettagliata. Loro sono la storia e hanno dato vita a un rock vero, forte, potente che di lì a breve avrebbe cambiato le regole ma nel contempo avrebbe subito anche un cambiamento drastico con l’avvento degli anni 80

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    1. Anche io anagraficamente non ho potuto vederli dal vivo (se non nella reunion del 2007, partecipai a tutte le possibili estrazioni per poter comprare un biglietto, ma niente da fare), ma li adoro da quando il padre di un caro amico me li fece scoprire in adolescenza!

      Come nel tuo caso, mi accompagnano da più di 20 anni senza mancare mai. :–)

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    1. Ci sono un paio di album giusto post Zeppelin che sono interessanti (con Phil Collins alla batteria, ma con molti altri buoni strumentisti): Pictures at Eleven 1982, e The Principle of Moments 1983.

      L’album The Honey Drippers del 1984 spero se lo sia dimenticato pure Plant da quanto è tremendo (nonostante Page e Beck alle chitarre), così come i successivi album molto pop degli anni 80. Plant torna al rock con Manic Nirvana del 1990, comunque con delle sonorità anni 80 direi un po’ fuori tempo massimo, sinceramente.

      In realtà ti consiglio di dare una chance a Fate of Nations del 1993 che è il primo passo verso uno stile diverso, Raising Sand del 2007 già lo conosci (e probabilmente è la sua cosa migliore da solista), e anche Band of Joy del 2010 merita.

      L’album del 2014 non l’ho mai ascoltato ma dal titolo sembrano ninnenanne e sinceramente non mi attira più di tanto…

      E poi li conoscerai sicuramente ma i due album di Page & Plant degli anni Novanta son proprio belli!

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