Star Trek: Insurrection: recensione del film

Con grande piacere, continua il viaggio di vengonofuoridallefottutepareti nella saga dei film di Star Trek insieme a Cassidy de La bara volante, e il post di oggi è dedicato a…

Star Trek: Insurrection è il terzo film della saga che usa l’equipaggio di The Next Generation capitanato da Jean-Luc Picard (Patrick Stewart). Uscì nel 1998, due anni dopo quello che è unanimemente considerato il miglior film post-Kirk, Star Trek: First Contact (Primo contatto), di nuovo con Jonathan Two-Takes Frakes alla regia ma stavolta con Michael Piller alla sceneggiatura supervisionato dall’onnipresente Rick Berman. Ma della stesura della sceneggiatura parleremo presto sul blog, visto che ho letto il libro di Piller sull’incubo che fu per lui lavorare a questo film.

Adesso parliamo del prodotto finito, Insurrection (per l’Italia: Star Trek – L’insurrezione). Il film si apre con il classico villaggetto bucolico di TNG dove una civiltà primitiva vive una vita semplice e a contatto con la natura. La Federazione sta studiando i nativi da una postazione nascosta e alcuni ricercatori sono addirittura nel villaggio stesso con delle tute con dispositivi di occultamento (e questa tecnologia da dove viene?). Ad un certo punto Data (Brent Spiner), con una vistosa ferita al collo, si ribella e rivela agli abitanti che qualcuno li sta spiando. Picard, che sta facendo altro con la sua Enterprise E, viene contattato dall’ammiraglio Dougherty (Anthony Zerbe) e decide di andare di persona a vedere cosa sia successo. Non gli piacerà quello che la Federazione sta macchinando insieme agli orribili Son’a e prenderà le difese dei 600 abitanti del pianeta. Questa è in poche parole la trama del film.

Prima di tutto, se avete visto la serie di TNG, vi risulterà familiare perché vicina a quella di due episodi della terza e settima stagione, rispettivamente: Prima direttiva (Who Watches the Watchers?) e Terra promessa (Homeward). Siamo infatti di fronte ad un dilemma morale per cui il bene di molti richiede il sacrificio di una minoranza, in questo caso i pacifici Bak’u, solo 600 persone in un pianeta ricco di sostanze che, se sfruttate, potrebbero portare grandissimi benefici a miliardi di persone. È giusto dare più valore ai needs of the many rispetto ai needs of the few, come direbbe lo Spock di Star Trek II? Sono solo 600, in fondo… Ma, si chiede Picard, qual’è il limite del sacrificio? Mille? Diecimila? O di più? Nel passato molti danni sono stati fatti in base a un modo di agire simile…

Ma se la questione di fondo del film è sicuramente interessante, la realizzazione, per quanto mi riguarda, lascia un po’ a desiderare. Prima di tutto ancora una volta tutti i riflettori sono su Picard: dopo aver perso l’unica famiglia che aveva in Generations e avere sete di vendetta contro i Borg in First Contact, qui vive una storia d’amore mentre guida pure un’insurrezione armata. A dividere la scena con Picard ecco Data che, dimenticata come se nulla fosse la storia del chip emozionale, fa più o meno tutto lui sul pianeta dei Bak’u (e sviluppa anche un’amicizia con un bambino come nell’episodio Amici per la pelle, Pen Pals, della seconda stagione di TNG). 

Gli altri, per l’ennesima volta, sono solo comprimari di lusso. C’è pure Worf (Michael Dorn) per motivi che non ci vengono nemmeno spiegati: prova a raccontare perché si trova a bordo dell’Enterprise, ma viene rapidamente interrotto, tanto non interessa a nessuno sapere perché non si trovi su Deep Space Nine (perché mantenere una continuity con le serie TV in un film che sarà visto da una maggioranza di persone che quelle serie nemmeno le conosce?).

Ma se vi piacciono Patrick Stewart e Brent Spiner questo non sarà certo un problema per voi. E per me lo è solo nella misura in cui, ancora una volta, il personaggio di Picard che avevo imparato ad amare con la serie di TNG in questo film, semplicemente, non c’è.

Un altro problema di Insurrection è il tono. A tratti è serissimo, coi villain cattivissimi (che ricordano da vicino i Vidiian di Star Trek: Voyager) e le questioni morali elevate. A tratti ecco battute sui brufoli e sui seni sodi. Difficile coniugare le due cose, soprattutto perché le parti più umoristiche non fanno molto ridere.

E poi la trama fa acqua da tutte le parti… Non si capisce il perché dell’alleanza tra Son’a e Federazione, né il motivo dello studio dei Bak’u e della baracconata della nave ponte ologrammi visto che appena allontanati dal pianeta i Bak’u si sarebbero accorti ben presto del trucco una volta svanite le proprietà benefiche delle particelle degli anelli planetari. Tra l’altro, perché a bordo dell’Enterprise subito tutti risentono degli effetti benefici e ringiovanenti della zona, mentre i Son’a no?

Più in generale, Insurrection è privo di mordente, e se non fosse per la spettacolare battaglia spaziale finale con l’Enterprise di Riker (Jonathan Frakes) e LaForge (LeVar Burton) a dettare legge, lo si potrebbe pure definire un po’ soporifero. E lo scontro finale tra Picard e Ru’afo (F. Murray Abraham) è praticamente identico a quello con Soran in Generations ma in un setting molto meno ispirato (e con tanto blue screen che ancora non ho capito se sia stato dimenticato lì o se fosse voluto).

Insomma, come si evince da quanto ho scritto fino ad ora, Insurrection non mi piace molto. La storia d’amore tra Picard e il personaggio di Donna Murphy non mi sembra credibile, e pure quella tra Troi (Marina Sirtis) e Riker mi sembra buttata lì solo per far divertire gli attori che ormai non avevano più nessuna voglia di rispettare la natura dei propri personaggi. E come biasimarli, se il primo a non farlo era proprio il capitano?

Restano delle belle musiche del solito Jerry Goldsmith, una sempre ottima regia di Frakes, degli effetti speciali che pur se interamente digitali non fanno rimpiangere i modellini delle navi usati in tutte i prodotti precedenti di Star Trek e… basta, per quanto mi riguarda. Ciao! 


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11 risposte a "Star Trek: Insurrection: recensione del film"

  1. Direi che salvo il solito Jerry Goldsmith, la sua colonna sonora è molto meglio del film, per il resto hai descritto la situazione alla grande, Worf deve esserci perché piace anche se nel film non fa nulla, perché sia lì nessuno lo sa, tanto questi film non sono fatti per chi ha seguito la serie, ma per cercare di acchiappare qualche nuovo appassionato e i soldi dei biglietti. Ma perché farli allora se non per vile denaro? Cheers!

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    1. Totalmente d’accordo. Infatti non si capisce perché mantenere degli elementi di contatto con le serie (come il menzionare il Dominio o Deep Space Nine) se tanto in realtà si vuole fare un generico prodotto di fantascienza/action.

      Che poi tagliare del tutto i ponti col passato è ciò che ha fatto Jar Jar Abrams coi suoi film dove c’è Kirk e sta sull’Enterprise ma non ha niente a che vedere con niente di ciò che sappiamo di Kirk in ogni sua incarnazione precedente!

      E per me il risultato è ignobile, però alla fine ha rilanciato il brand con successo…

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      1. E ha pure contribuito a rivitalizzare la produzione fumettistica, tanto che se oggi gli autori coinvolti possono scrivere e disegnare avventure di Star Trek con il nuovo equipaggio cercando di rispettare però allo stesso tempo lo spirito delle serie classiche (il fumetto può ancora permetterselo, fortunatamente, a differenza del cinema) lo dobbiamo comunque al fatto che il brand è stato rilanciato successo, appunto. A prescindere dal fatto che JJ possa piacere o meno, alla fine lui è andato semplicemente a occupare uno spazio che chi di dovere aveva ormai lasciato vuoto per troppo tempo, arrivando addirittura a prendersela con il pubblico che a suo dire non lo capiva (un Rick Berman senza più idee)…
        Quanto a “Insurrection”, non riesco ad avere nei suoi confronti lo stesso atteggiamento accondiscendente dei due precedenti capitoli: a parte i (pochi) lati davvero positivi -musiche, regia, effetti speciali- che elenchi, il resto è tutto fuorché memorabile… se l’obiettivo era quello di svincolarsi ulteriormente dalla serie tv (vedi l’introduzione di nuove specie aliene, i Son’a e i Bak’u, mai viste prima in TNG) per proporre un prodotto ancora più appetibile al pubblico generalista, allora mi sento di dire che tale obiettivo non è stato raggiunto. Tra l’altro il ritmo incerto, i toni discontinui, la trama sfilacciata e le forzate parentesi sentimentali fanno perdere di vista quello che, se trattato diversamente, sarebbe potuto e dovuto rimanere il punto forte dell’intero film, e cioè la stigmatizzazione di un comportamento della Federazione coerente con quel ritratto non idilliaco che ne stava dando si tempi DS9 (rendendo in questo modo un po’ più sensata la presenza di Worf, magari)… In sintesi, “Insurrection” lo si può guardare più per completezza che per lo scarso entusiasmo che qua e là riesce -faticosamente- a suscitare (equamente ripartito fra fan e spettatore occasionale).

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        1. Purtroppo io vorrei volergli più bene a questo film, ma è davvero difficile. Secondo me si nota che ormai non fregava più a nessuno di mantenere il tono ed il livello qualitativo del materiale di partenza. Il povero Piller, che io apprezzo molto, fu massacrato per la scrittura del copione e il risultato finale è davvero mediocre.
          E poi la reazione è stata fare un film uguale (in qualità) e contrario (in tono) come Nemesis che ha messo una pietra tombale di Star Trek per anni… :–(

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  2. Altro film che vorrei spedire lontano con un calcio, tipo nel Quadrante Delta! 😀
    Una quantità letale di Picard e si nota ancora di più la totale nullità che rappresenta il resto dell’equipaggio, al di fuori di Data che è il suo compagno di bevute. Ecco che poi scatta la reazione e fanno serie “solo donne” come “Lower Decks”, per fortuna le serie TV come DS9 e VOY riequilibravano tutto e rendevano questo universo Trek degno del suo nome.

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    1. Guarda, sui film di TNG ti do pienamente ragione. La serie continuo ad amarla, ma Stewart (e in misura minore Spiner) nei film è davvero fastidioso. Vedrai poi cosa ne dice Piller nel suo libro, ne scriverò sabato mattina, non aveva parole di apprezzamento per quei due…

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