El Hoyo: recensione del film

El Hoyo (tradotto letteralmente Il buco) è un film del 2019 scritto da David Desola e Pedro Rivero e diretto da Galder Gaztelu-Urrutia. Ne avevo sentito parlar bene da più parti e finalmente sono riuscito a vederlo: mi è piaciuto un sacco. E come può un incrocio tra Cube (1997) e Snowpiercer (2013) essere un brutto film? 

La trama, in due parole, è la seguente. Goreng (Ivan Massagué) si trova a passare sei mesi in una specie di carcere verticale dal numero indefinito di livelli collegati tra loro con una specie di pozzo centrale. Ogni livello ospita due persone, e ogni giorno il cibo scende dall’alto lungo il pozzo centrale e tutti hanno due minuti per nutrirsi. Solo che a quelli che si trovano ai livelli inferiori arrivano gli avanzi di chi li precede, e ad un certo punto il cibo finisce…

Non voglio anticipare niente di più della trama, tutto ciò che ho scritto viene spiegato nei primi cinque minuti di film da Trimagasi (Zorion Eguileor), compagno di cella di Goreng. Ma visto che rivelare qualcosa del film mi sarà inevitabile, prima di farlo lasciatemi dire che El Hoyo è un gioiellino di fantascienza / action / horror che intrattiene benissimo e allo stesso tempo manda dei messaggi tutt’altro che banali agli spettatori. Dentro ci troviamo molte cose, dal comunismo alla rivoluzione, dalla religione all’economia, passando inevitabilmente per la stupidità umana e la nostra tendenza al conflitto fraterno.

E quindi permettetemi di scrivere cosa c’ho visto io in un film che mi è parso tanto profondo. La metafora forse più evidente è quella dello Hoyo che altro non è che il nostro mondo, la nostra società. Ci sono risorse per tutti, ma sono distribuite male e pochi privilegiati si accaparrano tutto mentre tutti gli altri si scannano per spartirsi le briciole (se arrivano almeno quelle). E già qui mi è sembrato interessante come la distribuzione della ricchezza nel film sia casuale: i prigionieri vengono assegnati ai vari livelli a caso, un po’ come nella nostra società odierna le famiglie più ricche sono quelle che la ricchezza l’hanno ereditata grazie a fatti accaduti decenni se non secoli prima (e spesso sono legati ad eventi sanguinosi come guerre e conflitti).

Più in generale, è evidente come il messaggio del film sia che con un po’ di buon senso (e anche senza comunismo, come invece teme Trimagasi) potremmo stare tutti meglio, ma finché i più ricchi se ne fregheranno di chi sta peggio di loro, le cose non miglioreranno.

In quanto al protagonista del film, Goreng, lo si può vedere come un messia, come fa Imoguiri (Antonia San Juan), oppure come un rivoluzionario, o entrambi. Uomo di cultura (sceglie di portarsi dietro un libro, il Don Quijote di Cervantes), sa che il cambio in una società non può nascere spontaneamente, ma va iniziato dall’alto come è successo con tutte le rivoluzioni passate sempre scaturite dalle azioni di gruppi elitari e privilegiati (e quella di Goreng sarà una rivoluzione armata che lascerà morti per strada!). Certo, alla fine muore diventando una specie di martire, come successo a molti messia religiosi, ma almeno il suo messaggio arriva… Oppure no?

Il finale è un altro punto di forza del film. Il messaggio di Goreng è la panna cotta intonsa rimandata al mittente, almeno inizialmente. La panna cotta dovrebbe riuscire a far capire a quelli che comandano che non necessariamente le persone si scannano tra di loro per sopravvivere, ma riescono a collaborare e addirittura a rinunciare a preziose risorse. Poi invece il messaggio diventa la bambina, unica innocente della società. Ma c’è davvero quella bambina? Oppure è solo il delirio del moribondo Goreng? È plausibile che ad un livello così basso sopravviva una piccola ragazzina a cui non arriva mai cibo? Sembra difficile…

Certo, se la bambina ci fosse, El Hoyo sarebbe ancora più vicino al già citato Cube, dove si salvava l’unico innocente, il ragazzo con un ritardo mentale. Ma qui il finale sembra essere più cupo: non c’è il fondo del buco e la società si regge su cumuli di morti sfruttati per mantenere i privilegi di pochi. Questo sembra suggerire la scena del cuoco inferocito col suo staff per una panna cotta imperfetta e quindi non mangiata dagli ospiti dello Hoyo… Doppiamente beffardo, quindi: non solo è la panna cotta a salire, non la bambina, ma il messaggio non viene capito da quelli al vertice della società, al livello zero!

Il bello di un finale aperto ben scritto come questo è che le due interpretazioni sono entrambe plausibili, quindi il film offre un finale ottimista agli spettatori che lo vogliano cogliere. Per il resto, non ho che buone parole da spendere su cast, effetti speciali e girato, che convince anche nelle scene più gore. Il regista, all’esordio, dimostra di avere una buona mano in tutti i generi toccati dal suo film! Concludo qui, sperando di aver invogliato chi non abbia visto El Hoyo a guardarlo, e magari di discuterne nei commenti con cui invece sia arrivato prima di me a questo film del 2019. Ciao! 


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13 risposte a "El Hoyo: recensione del film"

  1. Che gioia vederlo nel primo “lockdown”, tutti chiusi a casa con gli spettatori casuali che trovando questo film su Netflix, si sono sentiti in dovere di dire la loro, sembrava quasi di stare nel film, altro che cinema 3D 😉 Cheers

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    1. Ahahah! Anche io in pieno primo lockdown mi ero dato a film che si accompagnassero bene all’esperienza (il primo fu The Crazies del buon Romero), ma questo me l’ero perso. Recuperato ora e… alla faccia! :–)

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  2. L’ho visto e anche io ne sono stata impressionata favorevolmente. Proprio come Cube è un’ottima metafora della nostra società con le sue regole illogiche e priva di pietà. Certo bisogna saper reggere un po’ di violenza (assolutamente da non guardare mentre si mangia!) ma El Hoyo visto quando è uscito in pieno lockdown mi ha anche fatto tirare un sospiro di sollievo: “Fiuu, per fortuna sono reclusa in casa mia (con la tv e Netflix) e non in quel buco!”

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    1. Effettivamente non avevo pensato al vederlo positivamente il fatto che nel film stiano tutti peggio di come stavamo noi durante il lockdown! :–D

      Concordo, comunque: da evitare se si sta mangiando, ci sono delle scene davvero da voltastomaco (e lo dico con un’accezione positiva)!

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  3. Anche io l’ho visto nel primo lockdown, e mi ha davvero impressionato: una metafora molto semplice ma di grandissimo effetto, e soprattutto girato in maniera eccellente! A suo tempo si scatenò una piccola faida tra chi l’ha apprezzato e chi lo ha trovato superficiale e banale, ma onestamente già il fatto che riesca a parlare in maniera così sottile del privilegio del primo e secondo mondo semplicemente con il dettaglio della casualità della posizione dei prigionieri dimostra quanto non sia affatto banale e ti lasci il compito di ricostruire il suo messaggio. Bello, bello; ottimo anche il fatto che sia uscito su Netflix, aprendosi anche al pubblico che altrimenti, probabilmente, al cinema non sarebbe andato a vederlo.

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    1. Totalmente d’accordo, ben vengano film “banali” come questo! La produzione dell’impero Netflix però non l’ho apprezzata tanto, ho potuto vedere il film solo dopo che la mia dolce metà ha ceduto al lato oscuro… X–D

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  4. Visto nel primo lockdown, come tutti i commentatori qui. Esperienza visiva che supera a mio avviso altri tentativi estremi di fare cinema e critica sociale. A me sembro’ perdersi troppo nello splatter. Le metafore che hai individuato sono condivise e le elencai anche in un mio post. Grande recensione. A mio avviso supera di un paio di ordini di grandezza “Cube”. Quando si parla di società spagnola e cultura spagnola… un film estremo come questo testimonia, nel suo piccolo il substrato da cui certe cose possono uscire.

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    1. Grazie mille! Sicuramente è un film che può dar noia dal punto di vista visivo in alcune scene, cosa certamente voluto visto il materiale che tratta.

      In Spagna c’è grande fermento, ma anche lì i cineasti indipendenti faticano a saltar fuori causa carenza di soldi (è un’industria piccola e anche registi più o meno affermati non trovano produttori facilmente).

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