Blue Bayou: recensione del film

Blue Bayou è un film scritto, diretto, prodotto ed interpretato da Justin Chon. Se non si può definire un film così come un passion project, allora non so perché esista tale definizione. È evidente che Chon si sia buttato anima e corpo in questo film perché riteneva di dover mandare un messaggio forte, un messaggio politico che va sicuramente contro il vento che soffia negli Stati Uniti da quando Obama fu sostituito da Trump, e temo che le cose non siano cambiate molto con l’ingresso di Biden alla Casa Bianca.

Blue Bayou è quindi un film politico. Lo dimostra anche la chiusura che fa riferimento a persone reali che stanno nella stessa situazione del protagonista del film: nato in Corea e adottato quando aveva tre anni nel 1988, Antonio LeBlanc (Justin Chon) rischia di essere deportato in quanto non cittadino statunitense a causa di cavilli legali ed irregolarità compiute a livello amministrativo nel periodo in cui arrivò negli Stati Uniti. Apparentemente, decine di migliaia di persone in una situazione del genere sono già state deportate in questi ultimi anni, e molte altre rischiano lo stesso destino.

Chon con la sua opera vuole accendere un riflettore su questo problema nella speranza di sensibilizzare un’opinione pubblica che da troppo tempo è abituata a pensare in bianco e nero e ad avere opinioni fin troppo elementari sull’immigrazione e sull’integrazione. E per questo io non posso che inchinarmi di fronte a Blue Bayou, ai suoi intenti, e al messaggio che arriva forte e chiaro, senza se e senza ma. Impossibile non capire il senso del film, tanto è dichiarato ed espresso più volte nelle sue due ore di durata.

E forse è questa l’unica vera critica che gli si può muovere contro, visto che Blue Bayou è un dramma che fa pure troppo per portare alle lacrime gli spettatori (per la cronaca, con me c’è riuscito benissimo), inserendo moltissimi elementi di trama e personaggi che a volte risultano quasi ridondanti. Si ha un po’ la sensazione che tutto si sarebbe potuto dire con un po’ più di tatto, con meno metafore spiegate e rispiegate (su tutte, le ninfee che hanno delle radici anche se non si vedono, così come queste persone al 100% statunitensi ma che sono nate in altre parti del mondo), con meno elementi strappalacrime (la malata di cancro interpretata da Linh Dan Pham, la famiglia divisa, i maltrattamenti minorili, gli infanticidi, la criminalità…).

Ma, ripeto, non posso che applaudire di fronte ad un atto politico decisamente coraggioso di questi tempi e che dipinge degli Stati Uniti razzisti, bigotti, violenti, con famiglie disastrate e minoranze etniche senza nessuna speranza di migliorare le proprie condizioni sociali.

E bravi anche tutti gli attori del cast tra cui Alicia Vikander ottima nel ruolo della disperata moglie di Antonio e Mark O’Brien e Emory Cohen nel ruolo dei poliziotti razzisti. Purtroppo è facile prevedere che negli Stati Uniti questo film lo vedranno in pochissimi, ma io lo consiglio senza dubbio. Ciao! 


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5 risposte a "Blue Bayou: recensione del film"

    1. Eh, mi sa che il tema dell’immigrazione negli Stati Uniti dà adito a ben più di una storia negativa ultimamente, e pensare che è un paese nato grazie ai migranti (che hanno sterminato le popolazioni native)…

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  1. La verità che nessuno vuol dire è che questo genere di film che cerca di difendere le minoranze alla fine ottiene l’effetto opposto di voler imporre la minoranza di turno.
    E poi queste ragazze occidentali che prendono la parte della minoranza in modo insolente come la protagonista di questo film, sarebbero da deportare nella nazione di origine dei fidanzati esotici a pane ed acqua

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