Terminal: recensione del film

Terminal (2018) è probabilmente una conseguenza del successo di ottimi film come Drive (2011) e The Neon Demon (2016) di Nicholas Winding Refn, per non parlare di Reservoir Dogs (Le iene, 1992) e Pulp Fiction (1994), ma in salsa British alla Guy Ritchie (di fatto, due attori, Dexter Fletcher e Nick Moran, erano anche in Lock, Stock and Two Smoking Barrels, Lock & Stock – Pazzi scatenati, 1998).

Cosa voglio dire con questo? Che è un thriller in cui i criminali parlano tantissimo, spesso del più e del meno, in cui la trama è raccontata in modo non lineare, in cui tutto è illuminato da luci al neon, e in cui abbondano performance attoriali sopra le righe e riprese zeppe di Dutch angle e fish eye. C’è un problema: tutti questi elementi sono buttati lì senza un costrutto, senza una ragione. E infatti niente di tutto questo serve ad elevare la qualità di un film che risulta artificioso, noioso, con una sceneggiatura a dir poco debole, e con personaggi che si dimenticano non dico dopo aver visto il film, ma addirittura durante la visione.

E questo nonostante ci siano Margot Robbie (talvolta poco vestita), Simon Pegg (in un ruolo completamente inutile, praticamente la sua presenza serve solo ad arrivare faticosamente ai 90 minuti di durata), e pure Mike Myers! E non parliamo del colpo di scena finale che più prevedibile di così sarebbe stato impossibile scriverlo (parlo di quello alla The Usual Suspects, I soliti sospetti, 1995, non quello successivo della sorella gemella che va ben oltre il limite del ridicolo).

Il film scritto e diretto da Vaughn Stein non ha assolutamente personalità (non sono sufficienti a dargliene una i molti riferimenti a Lewis Carroll), i dialoghi sono piatti e non aiutano minimamente i poveri attori, la colonna sonora è irritante, e regia e montaggio danno l’idea di non saper dove mettere le mani (Stein, al suo primo film da regista, aveva fatto da primo, secondo o terzo aiuto regista in un po’ di film di variabile fattura).

Qualcosa funziona, ma davvero poco. Per esempio sono divertenti Matthew Lewis (Neville di Harry Potter!) e Thomas Turgoose (This Is England, 2006) che provano a fare i criminali. E poi le scene di Pegg col dottore o nel confessionale sono OK, ma anche quelle non sono niente di che e sembrano copiare di più un brutto film della Marvel che non i film che ho menzionato all’inizio di questo post. Quando poi la trama del film diventa chiara nel finale si capisce di aver buttato via un’ora e mezzo su una storia che si sarebbe potuta raccontare in un cortometraggio di venti minuti.

Se avete voglia di guardare un film noir (o neo-noir, o per meglio dire neon-noir) mal fatto, mal scritto e mal girato, Terminal fa per voi. Se invece volete vedere qualcosa di derivato da Tarantino e Refn, ma fatto bene, guardate Bad Times at El Royale (Sette sconosciuti a El Royale, 2018). Ciao! 


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8 risposte a "Terminal: recensione del film"

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