The French Dispatch: recensione del film

The French Dispatch (uscito in Italia col titolo ben più wertmulleriano The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun) è un film del 2021 di Wes Anderson con il solito cast da paura che riesce a chiamare per ogni suo film. L’elenco infinito di attori ed attrici include Bill Murray, Tilda Swinton, Benicio Del Toro, Adrien Brody, Saoirse Ronan, Thimotée Chalamet, Willem Defoe, Edward Norton, Angelica Huston… ma è inutile continuare. Praticamente ad ogni scena aspettatevi di esclamare “Nooooo guarda chi c’è!” appena si apre una porta, o una finestra.

La scusa per far recitare insieme tutta questa gente sono tre episodi che rappresentano i tre articoli dell’ultimo numero di una rivista immaginaria divisa tra la città di Ennui, Francia, e Liberty, Kansas. Ogni articolo racconta una storia surreale accaduta a Ennui, ma tutto comincia dall’introduzione della cittadina fatta da un giornalista in bicicletta (Fisher Stevens) e termina con il necrologio per la morte dell’editore (Bill Murray). 

Il primo episodio (probabilmente quello che ho preferito) racconta della vita del folle artista Moses Rosenthal (Benicio Del Toro) e della sua relazione con l’impresario d’arte Cadazio (Adrien Brody). Il secondo mostra le folli lotte studentesche liderate dei giovani Zeffirelli (Timothée Chalamet) e Juliette (Lyna Khoudri). Infine, il terzo (sicuramente quello più dinamico) è su una strampalata operazione di polizia per liberare il figlio (Winsen Ait Hellal) del commissario (Mathieu Amalric) dalle grinfie della banda del criminale interpretato da Edward Norton.

Non sono andato al cinema nelle condizioni migliori, visto che son due settimane che passo da fabbre a tosse a mal di gola e infine otite (già da quattro giorni). Per tutto questo ringrazio il mio pargolo di due anni e mezzo portatore sano (a tratti) di virus. E un film come The French Dispatch che ti assalta ad un ritmo frenetico con dialoghi che spaziano a piacere tra francese e inglese e composizioni di scene piene zeppe di particolari non è l’ideale da affrontare nelle mie condizioni attuali.

Detto questo, Wes Anderson ha sfornato un altro prodotto riconoscibilissimo, con la sua paletta di colori, il suo cast, la sua simmetria, i suoi dialoghi assurdi, le sue storie surreali.

Se vi piace lo stile del regista di Houston, Texas, apprezzerete questo film senza ombra di dubbio. Se non vi sono piaciuti i vari Isle of Dogs (L’isola dei cani, 2018), The Grand Budapest Hotel (2014) e Moonrise Kingdom (Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, 2012), giusto per citare i suoi lavori più recenti, non sarà The French Dispatch a farvi cambiare idea. Per quanto mi riguarda, credo che non abbiamo ringraziato abbastanza la geniale Polly Platt (prima moglie di Peter Bogdanovich) per aver permesso al mondo di godere del talento del mio preferito tra gli Anderson: Wes. Ciao! 



18 risposte a "The French Dispatch: recensione del film"

  1. Non vedo l’ora, non vedo l’ora, non vedo l’ora! Anche a me Wes Anderson mi piace tantissimo, e ogni suo film è un evento che non mi perderei mai. Stando a wikipedia da noi dovrebbe uscire l’11 novembre, e in pratica sono già in sala con il biglietto in mano. Sono felice di leggere una recensione positiva, altri titoli che ho letto tempo fa ne parlavano in maniera molto più fredda e mi avevano quasi spaventato.

    Guarisci presto! I bambini sanno essere dei tremendi distributori automatici di malattie, proprio ieri ho passato il pomeriggio con mio nipote in braccio e stamattina ho saputo che ha un virus; attendo rassegnato che il mio destino si compia…

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    1. Tutti quelli con cui sono andato al cinema a vederlo (eravamo sette) lo hanno adorato (forse tutti pure più di me), dici che mi sono fatto contagiare dall’entusiasmo? :–)

      Questi virus sono tremendi… e da ieri mio figlio ha una gastrointerite, quindi nel mio futuro vedo pure quella… :–(

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      1. Beh ci troviamo anche in un tempo in cui un film mediamente apprezzato è una baracconata diretta con i piedi come “Shng-Chi” e poi si fa pelo e contropelo a Anderson e Villeneuve. Quindi si, pur essendo “minore” è comunque sopra la media, ma ci vuole anche molto poco per esserlo.

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        1. Ormai siamo in un periodo in cui è di moda parlare bene di cinefumetti Marvel e DC con frasi come “non è male”, “è originale”, “costruisce un mondo interessante”… E parliamo di film fatti con lo stampino e i cui copioni sono scritti in base a indagini di mercato!

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