Mad Max 2: recensione del film

03 gennaio 2022Mel Gibson compie 66 anni. Ed ecco che vengonofuoridallefottutepareti lo festeggia con un’umile recensione di uno dei film più famosi con lui come protagonista.

Mad Max 2 (The Road Warrior per gli Stati Uniti e in Italia conosciuto come Interceptor – Il guerriero della strada, o Mad Max 2 – Il guerriero della strada) arrivò due anni dopo il primo film del 1979 e completò l’opera rivoluzionaria di quel visionario di George Miller. È con questo film infatti che creò tutti gli elementi del cinema post-apocalittico con cui hanno poi fatto i conti tutti i film successivi ambientati in mondi più o meno sopravvissuti a catastrofi non meglio specificate (se non ci credete chiedete, tra gli altri, a Kevin Costner e al suo Waterworld, 1995).

Fondamentalmente, Miller riprese tutte le idee del primo film e le portò all’ennesima potenza. Della società decadente non rimangono che clan che si fanno guerra per il possesso delle ultime risorse rimaste. Se la violenza nel primo film era più suggerita che mostrata, qui le torture e il sangue sono di fronte alla telecamera. Se i villain guidati da Toecutter erano criminali senza scrupoli, quelli al comando di The Humungus (Kjell Nilsson) sono dei veri e propri pazzi con tendenze suicide. E se già gli inseguimenti in auto del primo film erano adrenalinici, quelli di Mad Max 2 sono a dir poco incredibili. Insomma, ci siamo capiti (e siccome a Miller pareva poco, poi ha accelerato ancora di più col suo Fury Road del 2015, ma ne parleremo un altro giorno).

La trama in due parole è la seguente. Max (Mel Gibson) vaga per il deserto con la sua V8 Interceptor e col suo fido cane. Trova una comunità assediata da una banda di matti motorizzati e di malavoglia decide di aiutarli a fuggire portando un prezioso carico di benzina. È tutto qui.

Ma se vi sembra poco vi sbagliate perché la storia è condita da combattimenti furiosi e personaggi che anche con pochissime battute restano impressi nella memoria per sempre. Sto pensando al pilota del gyro (uno strambo elicottero) interpretato da Bruce Spence, o al leader della comunità Papagallo (Michael Preston) e al suo manipolo di sopravvissuti come la guerriera bionda senza nome (Virginia Hey), l’altra bionda di cui si invaghisce il pilota (Arkie Whiteley) o il terribile bambino armato di boomerang (Emil Minty). I villain non sono da meno, tra il già menzionato Humungus (un suo monologo è stato usato in un delirante episodio di South Park, Eat, Pray, Queef, e Butters è apparso nei suoi panni in Proper Condom Use), Wez (Vernon Wells) e il gruppo di folli coi loro veicoli tutti diversi tra loro e per cui è facile intuire che Miller avesse pensato caratterizzazioni specifiche. 

Ma soprattutto è l’epicità del film a colpire sin dai primi minuti. È una voce narrante ad aprire la storia e a chiuderla, come a dipingere i fatti come leggenda, magari di una tradizione orale di un mondo che è ripartito da zero dopo un’enorme crisi energetica planetaria. Max stesso è sì l’ex-poliziotto del primo film, ma diventa qui un eroe (o un anti-eroe, a voler essere precisi) senza tempo, un giusto in un mondo impazzito le cui gesta potrebbero essere esagerate dal narratore o addirittura inventate di sana pianta.

Miller crea così un personaggio utilizzabile all’infinito, un mito del mondo post-apocalittico che può sviluppare in lungo e largo, cosa che ha poi fatto sia col terzo film (Mad Max Beyond Thunderdome, del 1985) che con il quarto (Mad Max: Fury Road, del 2015) in cui il protagonista è interpretato non più da Mel Gibson ma da Tom Hardy. Certo, si chiama sempre Max ed entra in scena guidando una V8 Pursuit Special (che poi magari fa una finaccia), ma è l’incarnazione dell’eroe che arriva dal nulla e raddrizza un torto (senza quasi spiccicare parola) per poi svanire di nuovo nelle Wastelands immaginate dal regista australiano. E naturalmente ogni sua avventura segue fedelmente le linee tracciate da Joseph Campbell nel suo The Hero With a Thousand Faces (L’eroe dai mille volti)! 

Che dire di più? Pur avendo pochissime linee di dialogo, il film sviluppa benissimo tanti personaggi e tante relazioni tra di essi. Notevole il capitano del gyro che riesce a portare un po’ di leggerezza senza risultare antipatico o insopportabile (non è un Jar Jar, per capirci), così come Papagallo che ha delle splendide interazioni con Max basate sul rispetto e la fiducia, pur se inficiate dalla qualità del mondo in cui i due sono costretti a vivere. 

Colpisce anche come Max sia sì il protagonista, ma che la storia principale lo interessi quasi solo marginalmente. Il finale di fatto vede un Max abbandonato a sé stesso, ingannato da coloro che aveva tentato di proteggere, eppure allo stesso tempo che ha compiuto la sua missione, che ha portato a termine il suo compito rispettando la propria natura di eroe disinteressato. Davvero geniale! 

Insomma, questo è un film che ha fatto la storia del cinema, inutile girarci intorno, e merita ben più di una visione per essere compreso del tutto e per capirne tutta la forza cinematografica (anche al di là di tutto ciò che ha influenzato). Ciao! 

PS: tornando a South Park, Stan ha un poster di Mad Max 2 nella sua camerina da anni e anni! 


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