Darkman: recensione del film

Verso la fine degli anni Ottanta, Sam Raimi tentò di portare sul grande schermo un supereroe tra Batman e The Shadow. Non ci riuscì (nel 1989 Tim Burton fece il suo Batman, e The Shadow rimane uno dei pochi fumetti da cui non sono stati tratti film) e quindi scrisse di suo pugno una storia originale: Darkman. Il risultante film, uscito nel 1990, è un cult assoluto ed è senza dubbio uno dei migliori cinefumetti (senza fumetti) mai fatti.

Peyton (Liam Neeson, ma sarebbe dovuto essere Bruce Campbell e per poco non fu Bill Paxton) è uno scienziato che sta provando a creare una pelle artificiale da usare in operazioni di chirurgia ricostruttiva. Purtroppo però non riesce a creare una pelle stabile: se a contatto con la luce, dopo 99 minuti comincia a disfarsi. Peyton è il ragazzo di Juliet (Frances McDormand), avvocata che si trova invischiata in una brutta storia di corruzione con il potente imprenditore immobiliare Louis Strack Jr. (Colin Friels). Ci va di mezzo proprio Peyton che rimane vittima dell’esplosione del suo laboratorio causata dagli scagnozzi di Strack capitanati dall’ex-militare Robert G. Durant (interpretato da un glaciale Larry Drake).

Comincia quindi la vendetta dello sfigurato Peyton che recupera le forze dopo un intervento rivoluzionario della dottoressa interpretata da Jenny Agutter, e nella sua squadra si può notare anche il buon John Landis! D’altronde a Raimi non mancò proprio niente, alla sceneggiatura lavorarono anche i suoi amici fratelli Coen (Joel Coen aveva fatto il montaggio del primo The Evil Dead, La casa, 1981).

Lo svolgimento del film quindi è abbastanza lineare: Peyton / Darkman ammazza tutti i cattivi fino allo scontro finale su un grattacielo in costruzione contro Strack, e poi si confronta con il possibile futuro con Juliet data le sue drammatiche condizioni psicofisiche.

È evidente come Raimi si sia ispirato ai suoi tanto amati fumetti per Darkman: i toni scuri ben si sposano con quelli del Batman di Frank Miller, la faccia deformata di Peyton ricorda quella di Two Face (Due Facce), l’esplosione iniziale fa pensare al Joker di Burton sfigurato nell’incidente alla Axis Chemicals (altro punto in comune con quel film è la colonna sonora di Danny Elfman!), e si potrebbe continuare. Più che a delle scopiazzate, però, qui siamo di fronte ad omaggi dettati dall’amore di Raimi per una letteratura e un cinema (i classici mostri della Universal coi loro sinistri laboratori) che non era così scontato avesse successo trent’anni fa (Dick Tracy di Warren Beatty, anch’esso del 1990, non arrivò minimamente ai numeri al botteghino del Batman di Tim Burton). Darkman riuscì ad essere un piccolo successo finanziario soprattutto grazie al suo modesto budget (16 milioni di dollari), cosa che si nota soprattutto nelle scene con effetti speciali basati sul green screen invecchiati un po’ male.

Ma insomma, che dire di Darkman? Che visto ora, nonostante siano passate tre decadi, è ancora molto molto divertente e i suoi toni oscuri sono di gran lunga superiori a quelli solo teoricamente tragici e pregni di significato dei film DC di Zack Snyder. Se cercate un arco narrativo interessante per un supereroe, anzi un super-antieroe, lasciate stare uomini d’acciaio e compagnia bella e recuperate Darkman! La sua storia è davvero tragica, le sue azioni non sono scontate, le interazioni con la sua amata sono dolcissime e allo stesso tempo drammatiche.

E intendiamoci: non mi sono mai interessati particolarmente i film con gli eroi in calzamaglia (tranne i Batman di Burton, quelli li adoro)! Però qui di calzamaglie non ve n’è traccia, e di scene d’azione esageratissime ed irreali ce n’è soltanto un paio sul finale (sicuramente ricordate da Raimi più di dieci anni dopo quando lavorò ai suoi tre Spiderman). E non è che in un film del genere io cerchi necessariamente atmosfere dure e tragiche, ovvio! È che in Darkman tutte le scelte sembrano fatte organicamente, niente sembra forzato, mentre come posso credere alle paturnie di un essere onnipotente come Superman o a quelle di un ragazzo che improvvisamente ottiene dei superpoteri incredibili come Spiderman! Qui Peyton è completamente rovinato, sfigurato per sempre fisicamente e anche alterato psicologicamente con scatti d’ira incontrollabili. Le sue azioni violente mi sembrano il minimo che potesse fare, date le circostanze!

Ma poi il film ha un ritmo indiavolato, Raimi si diverte con la sua macchina da presa tra zoom, Dutch angle (camera sbilenca), un sacco di movimenti che comunque non mandano mai in confusione lo spettatore… Gli effetti speciali si dividono tra quelli vecchia scuola e quelli con green screen che ad oggi escono malconci dal confronto. E la fotografia di Bill Pope è splendida, ma questo sorprende poco (nel 2017 fa lavorò a Baby Driver – Il genio della fuga, di Edgar Wright, per nominarne giusto uno)!

Insomma, Darkman è un cult movie tutto da (ri)scoprire! Io ci sono arrivato tardi, ma comunque in tempo per apprezzarlo! Ciao! 


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14 risposte a "Darkman: recensione del film"

      1. L’oscurità e la tragicità “adulta” dei supereroi di Snyder alla fine sono semplice apparenza, laddove invece nel geniale Darkman di Raimi (futuro responsabile -e vista la sua personale visione supereroica qui dimostrata c’era da scommetterci- del miglior Spiderman su grande schermo) sono sostanza concreta e palpabile… A proposito, sul fatto dell’essere stata tanta roba l’averlo visto al cinema nel 1990 posso darti la mia conferma, dato che c’ero 😉

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  1. Mia grande passione giovanile, quel 1990 andavo a liceo e le supertutine non interessavano a nessuno più grande di dieci anni, quindi questo era il nostro personale supereroe dark. E Batman muto! 😛
    Ricordo d’aver comprato e adorato il fumetto del film: che rabbia non aver conservato tutti quei fui fumetti-novelization che uscivano nelle nostre edicole all’epoca.

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  2. Visto fino allo sfinimento da ragazzo. Amo questo film, che ha tutto al posto giusto. Certo alcuni passaggi sono forzati, probabilmente per via del budget che ha costretto a tagliare parti di storia, ma anche così tutto funziona alla grande.

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