The Power of the Dog: recensione del film

Questa è la settimana western sul blog, pare. Dopo Brokeback Mountain (I segreti di Brokeback Mountain, 2005)

The Power of the Dog (Il potere del cane) è un film del 2021 scritto e diretto da Jane Campion e basato su un libro del 1967 di Thomas Savage. Di questo film si è parlato molto, tanto è vero che Jane Campion si è pure portata a casa l’Oscar alla miglior regia nella cerimonia che tutti ricorderanno in futuro solo ed esclusivamente per lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock.

La trama è riassumibile come segue. Inizio Novecento, Minnesota. Due fratelli, Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons), sono proprietari terrieri ed allevatori in un grande ranch di loro proprietà. Il secondo sposa una ristoratrice vedova (Kirsten Dunst) che porta al ranch suo figlio Peter (Kodi Smit-McPhee), e Phil non sopporta né l’una né l’altro. Lei si dà all’alcool, mentre il figlio elabora un piano ben più decisivo per risolvere la cosa.

Diciamo subito che dal punto di vista tecnico il film è ineccepibile. La regia, la fotografia di Ari Wegner, la direzione di tutti gli attori e le attrici… tutto è curato fin nel minimo dettaglio. Questo è specialmente impressionante se si pensa che la narrazione è minimalista, con la Campion che sceglie di non ricorrere a nessuno dei classici espedienti usati in film western / epici come flashback, voci narranti (se non in apertura del film), o lunghe spiegazioni affidate ad alcuni personaggi.

The Power of the Dog si basa sui silenzi, sugli sguardi, sulla fisicità e su lunghe scene prive di dialoghi. Purtroppo, però, dal mio punto di vista, la storia non risulta ben narrata (e lo dico pur ammirando la scelta di ridurre al minimo spiegazioni e monologhi), tanto che le motivazioni dei personaggi rimangono per la maggior parte misteriose.

Certo, Phil ha un vistoso trauma dovuto alla solitudine posteriore alla storia col leggendario Bronco Henry che tanto lo ha segnato. Ma perché cambia idea in maniera così repentina su Peter? Probabilmente ci rivede sé stesso e spera di poter fargli da mentore, ma cosa gli fa cambiare idea sul ragazzo? Chissà…

E perché la vedova si dà all’alcolismo? Per colpa di Phil? Per colpa dell’assente George? Cosa è che le rende la vita insopportabile? Non è dato saperlo.

E posso capire che Peter fosse risentito per come Phil lo aveva trattato inizialmente, ma… Addirittura arrivare ad uccidere Phil, proprio quando questi lo stava trattando bene, anzi lo aveva preso sotto la sua ala protettrice?

E parliamo del piano di Peter, degno del Joker di The Dark Knight (Il cavaliere oscuro, 2008). In breve, il piano prevede che accadano le seguenti cose:

  • Phil si ferisce accidentalmente ad una mano muovendo dei tronchi di legno;
  • Phil finisce il cuoio con cui sta preparando un lazo per Peter perché la madre ubriaca decide casualmente di regalare delle pelli a degli indiani di passaggio;
  • Peter fa un giro a cavallo e trova il cadavere di una mucca (morta per avvelenamento da antrace?) e decide di ricavarci del cuoio da dare a Phil per il suddetto lazo nel caso che questi ne abbia bisogno;
  • Peter finisce il lazo col cuoio avvelenato esponendo la ferita casuale all’antrace di cui sopra.

La serie di coincidenze necessarie affinché questo piano vada a buon fine, con tanto di sorrisino diabolico di Peter in chiusura del film, è a dir poco improbabile. Se ci aggiungiamo, come detto, che non si capisce nemmeno il motivo di una tale azione, si può capire come io sia rimasto basito guardando la seconda metà del film.

Già perché nella prima metà fondamentalmente non succede niente di tutto questo, e la trama si mette in moto circa a metà col repentino cambio di umore di Phil e le intenzioni di Peter confessate alla madre. Quindi tanti bei paesaggi, tante scene ben costruite per presentare soprattutto il personaggio di Phil, ma poco altro, e tocca agli spettatori sopperire alle mancanze di una sceneggiatura fin troppo essenziale. Per dire, nel libro Phil è il responsabile della morte del padre di Peter, quindi le sue azioni sono comprensibili, ma nel film no!

A giudicare dal successo di critica, mi saranno sfuggite cose cruciali durante la visione. Mi era successo qualcosa di simile con Phantom Thread (Il filo nascosto, 2017), quindi non mi preoccupo, semplicemente continuo a non capirci niente di cinema (eppure mi ostino a scriverne su un blog)! 

È un film quindi che apprezzo tecnicamente, e che volendo esplorare il tema dell’incomunicabilità forse volutamente sceglie di non comunicare in maniera chiara, ma che non mi è arrivato, temo. Tanti personaggi tormentati, tanta tristezza, tanta solitudine… eppure non mi ha emozionato. Ciao! 

PS: la colonna sonora non mi è andata giù, l’ho trovata poco ispirata, pur con tutto il bene che voglio a Johnny Greenwood, chitarrista e tastierista dei Radiohead



18 risposte a "The Power of the Dog: recensione del film"

      1. C’è da avere la bocca buona per i non detti!
        La prima ora, a mio avviso, è insalvabile, ma poi la “serie di coincidenze” mi ha intrippato… e sul non-detto chiunque può vedere quello che vuole, e credo (almeno per questa volta) sia un bene, sia stimolante…
        sì, i piani diabolici sono improbabili, ma più che una vera e propria pianificazione c’ho visto lo sfruttamento di coincidenze; e poi diverte moltissimo “interpretare” basandosi su ciò che “non c’è”: si arriva sempre al Raptor Jesus: cioè l’affermare che Gesù era un velociraptor poiché da nessuna parte, nel Vangelo, si specifica che NON era un velociraptor! Divertentissimo!
        E in The Power of the Dog, come in gran parte della letteratura post-moderna di “allucinazione”, il divertimento sta proprio qui: a immergersi nei Raptor Jesus, forse improbabili, ma improbabili perché “non ci sono”, ma non essendoci ci “sono eternamente” e “formidabilmente”!

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        1. A me piacciono pure i non detti, e odio spiegoni e voci narranti. Ed è chiaro che è più suggestivo un film che non dice perché, appunto, si apre a più interpretazioni (un esempio a caso, Mulholland Drive, e Lynch in generale). Però io qui ho solo visto una sceneggiatura messa in piedi male con grossi scompensi di ritmo e eventi che mi hanno lasciato e suggerito poco… È sicuramente un limite mio!

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  1. A difesa del film, sempre se ricordo bene perché l’ho visto mesi fa, il fatto che degli animali morissero per l’antrace era stato detto in precedenza, quindi il fatto che il tipo trovi e decida di usare una mucca morta non è cosa del tutto improvvisata, almeno io l’ho vista così. Come non escludo la complicità più o meno consapevole della madre nel dare via le pelli.
    Inoltre, è vero che Phil stava iniziando a comportarsi meglio, ma io l’ho vista come una vendetta anche per i maltrattamenti subiti dalla madre (nei quali ho visto la causa dell’alcolismo), che non si cancellano con un cambio di atteggiamento.
    Queste sono le mie interpretazioni, che restano solo possibilità proprio per il gioco del “non detto”. 🙂

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    1. Grazie mille per il tuo commento! Continuo a credere che il piano si basi su coincidenze notevoli e che si sarebbe potuto fare di meglio in quanto a narrazione, però effettivamente hai tirato fuori dei punti della trama importanti!

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          1. da wikipedia:
            La figlia oscura (The Lost Daughter) è un film del 2021 scritto e diretto da Maggie Gyllenhaal, al suo esordio alla regia di un lungometraggio.

            Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2006 di Elena Ferrante, è stato presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ha per protagoniste Olivia Colman, Jessie Buckley e Dakota Johnson.

            è piuttosto importante, potrebbe arrivare da te^^

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  2. Ho capito le tue obiezioni, e in parte sono d’accordo, soprattutto sulla catena di coincidenze che portano alla maturazione del piano di Peter; credo però che se anche la mamma non avesse dato via le pelli Phil ormai era talmente infatuato di Peter che se il ragazzo gli avesse chiesto di fare il lazo proprio con le pelli contaminate lui l’avrebbe fatto. Però sì, ha un primo atto decisamente troppo lungo che toglie spazio, nel secondo, ad approfondire davvero le loro motivazioni, che comunque, secondo me, si capiscono; io sposo il punto di vista di Nick Shadow sul non detto e il suggerito – ed è strano perchè di solito preferisco che i film siano molto parlati.

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    1. Siete in parecchi ad aver apprezzato (la seconda parte di) questo film, forse l’ho visto nel momento sbagliato, o mi aspettavo cose diverse, o, ed è probabile, dopo la prima ora volevo soltanto arrivare a vedere i titoli di coda! X–D

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  3. Secondo me il problema è che puoi decostruire la figura del cowboy macho quanto vuoi, ma dopo Brokeback Mountain risulterà sempre una ripetizione. In più anche tardiva dato che il film di Ang Lee risale al 2005, perciò a me non sembra nè innovativo come vogliono far credere nè interessante come vogliono far sembrare.

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