Hable con ella: recensione del film

Hable con ella, Parla con lei, è un film del 2002 (son passati venti anni tondi tondi) scritto e diretto da Pedro Almodóvar. Se ne parlò abbastanza all’uscita anche in relazione alla polemica sull’uccisione di alcuni tori per girare le scene di uno dei personaggi del film, una torera interpretata da Rosario Flores. Già si parte male con me e di fatto questa era la ragione per cui avevo evitato di guadare questo film fino ad ora, ma vivendo in Spagna è inevitabile essere esposti a tutto ciò che Almodóvar ha fatto nella sua vita, quindi alla fine mi sono sorbito pure questo.

La storia è la seguente: il giornalista Marco (Dario Grandinetti) comincia una storia con la torera Lydia, ma quella va in coma in seguito ad un incidente (come si meritava, aggiungo io: che razza di sport sarebbe la corrida?). Alla clinica dove si prendono cura di lei, Marco diventa amico di Benigno (Javier Cámara), un infermiere che ha sviluppato una vera e propria ossessione per la sua paziente Alicia (Leonor Watling).

Hable con ella contiene parecchi elementi del tipico cinema almodovariano, tra cui i temi della passione, della perdita e del vivere il dolore, la narrazione temporale non lineare suddivisa in capitoli, l’uso di personaggi che nel mondo normale sarebbero considerati degli psicopatici, e una trama che si basa su coincidenze e circostanze del tutto surreali.

Eppure allo stesso tempo l’ho trovato anche un film diverso dal solito lavoro del regista spagnolo. Per una volta, i protagonisti sono due uomini, con le donne relegate sullo sfondo (anche se nella prima parte della pellicola Lydia sembra avere un ruolo più preminente). E poi qui la storia va dritta al punto, non si perde in troppi giri pindarici che aggiungono colore ma nessuna sostanza, come spesso mi pare succeda nei film di Almodóvar.

Da una parte ecco Marco, che vive la perdita con lucidità e riesce anche a staccarsi dalla persona amata quando capisce che lei stessa avrebbe voluto allontanarsi da lui poco prima dell’incidente. Dall’altra, Benigno vive nel modo più malsano possibile la situazione comatosa dell’oggetto del suo desiderio, che in questo caso non aveva contraccambiato il sentimento nemmeno per un istante.

Nessuno dei due è capace di ascoltare la persona amata. A Marco, Lydia rinfaccia di non dialogare con lei, ma semplicemente di parlarle come se recitasse un monologo. Benigno invece crede di ascoltare Alicia, ma ascolta solamente sé stesso e le sue pulsioni più oscure. Ho trovato molto interessante che Almodóvar abbia scelto di parlare del genere maschile in questi termini, dopo essersi concentrato per molto tempo soprattutto a dipingere personaggi femminili nei suoi film. 

E sì, la trama non regge uno scrutinio un minimo approfondito, ma questo c’è da aspettarselo con questo autore. Quali sono le probabilità che Benigno si innamori di una ragazza che va a ballare di fronte a casa sua e che poi se la ritrovi come paziente nella clinica dove lavora? E davvero i colleghi non si rendono conto che lasciarlo solo con lei per nottate intere potrebbe portare conseguenze serie? 

Ma tutto questo è secondario quando la storia riesce comunque a comunicare messaggi intelligenti, per quanto drammatici e esagerati. Da ricordare ci sono anche la scena in stile cinema muto di inizio Novecento che sono sicuro sia ispirata ad un racconto di Charles Bukowski che ho letto tanti anni fa ma non sono stato capace di ritrovare, Cuccuruccucu Paloma cantata da Caetano Veloso, e il fatto che il personaggio di Cámara sia stato scritto pensando all’amico Roberto Benigni. Sinceramente, se mi associassero a un personaggio psicopatico in un film non so come la prenderei… Ciao! 


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10 risposte a "Hable con ella: recensione del film"

  1. L’ho visto troppi anni fa per ricordare qualcosa di più se non il rapporto fra l’infermiere e la comatosa, credo infatti siano quasi vent’anni (lo vidi appena arrivò sulla TV satellitare). Sento di condividere con te il rapporto freddino con Pedro e il suo cinema, troppo decantato all’epoca perché “faceva intellettuale” e poi scomparso nel nulla, come se Almodovar avesse smesso di lavorare con l’inizio del millennio. Di sicuro non rivedrò di certo il film: mi fido del suo giudizio alla cieca ^_^

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    1. Parlare di Almodóvar è come parlare di un intoccabile, effettivamente, viene incensato da tutti specialmente in Europa fuori dalla Spagna (dove invece c’è un amore odio, anche a causa della sua visione politica – i Goya infatti li vince relativamente raramente). Per ora a me sono realmente piaciuti solo due film, e ne ho visti più della metà della sua filmografia!

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  2. Da frequentatore della Spagna assiduo quasi “quotidiano”, non posso che aderire sul binomio Almodovar-Spagna. La vena “dissacrante-macchiettistica” di Almodovar poteva andar bene per la Spagna post Franchista, al massimo fino a metà anni 90 (per la Spagna più retro’.. non certo per le 4 “aree metropolitane” spagnole), ora i suoi film non credo possano parlare ad una società molto diversa e totalmente liberalizzata da un punto di vista sessuale, e nel quale si è arrivati a raggiungere vette di follia al contrario (non voglio entrare in polemiche, mi fermo qui). Per cui puo’ essere Almodovar puo’ essere venerato per lo più in Italia, un paese che ama navigare ancora in nostalgie di passati gloriosi e machi, in cui il gruppo “Guzzanti figli”, crede di essere l’avanguardia della cultura e chiamarlo “maestro” nelle ospitate in TV (cosa che farebbe ridere un belga, un francese o un tedesco che ha una media passione per il cinema). Parla con lei resta un film scoordinato, sbilenco, surreale nel senso deteriore del termine e non in quello artistico (da andare pertanto nel registro dell’irreale, quindi sfiorare l’assurdo come tu dici, ma involontario…) con qualche vena poetica qui e là, secondo me più legata alle capacità attoriali di Grandinetti e Camara (a parte la perla di Veloso) che altro. In terra di non vedenti, beato chi ha un occhio (miope). Credo che questo proverbio piemontese, aderisca perfettamente al film e al cinema di Almodovar. Si il film è leggermente sopra la media dei film di questo autore.

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    1. Con me sfondi una porta aperta, io continuo a considerare il grande successo di Almodóvar quantomeno misterioso, però tra tutti i suoi film che ho visto Hable con ella mi pare che almeno abbia qualcosa da dire, e non si limiti a rimescolare i soliti ingredienti fissi di tutti i suoi film.

      Molto interessanti anche le tue considerazioni sulle differenze tra Italia e Spagna, e vivendo da vari anni in questo secondo paese ti assicuro che la differenza culturale e sociale con l’Italia si sta (purtroppo per l’Italia) allargando sempre di più.

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      1. E’ da anni che mi dico di scrivere un post al riguardo. Poi desisto per non essere troppo severo per l’Italia. Già lo fui in un’occasione molti anni fa. Più passo tempo in Spagna, e più mi convinco, cha al netto degli estremismi e della loro scarsa capacità di avere una dialettica (che in Italia diventa retorica fine a se stessa) ci hanno già sgasato in faccia i fumi del sorpasso.

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        1. La Spagna è davvero strana, perché pur se in ritardo nelle infrastrutture e in un certo tipo di cultura (etica, medica, alimentare…) a causa di una dittatura finita in tempi relativamente recenti, dal punto di vista sociale è davvero avanti (sia nelle conquiste che nella qualità del tessuto sociale inteso in senso ampio).
          Sulla dialettica hanno problemi pure loro, ormai propri di tutti i nostri paesi che definiamo sviluppati.

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          1. Su questo dovremmo confrontarci, econdo me potrebbe uscirne un post doppio interessante. Sulle infrastrutture credo ci abbiano superato. Sulla sanità anche. A meno di non vivere a Torino/Milano, il confronto Spagna/Italia è a loro favore. Sono meridionale, ma ho vissuto 14 anni a Torino e 6 anni in provincia di Alessandria. Anche solo in rapporto Alessandria/Almeria (si letto bene Almeria) e a loro vantaggio su infrastrutture e strutture ospedaliere (ne ho i segni sulla mia pelle, su quelli della mia famiglia in Italia e in Spagna). Sull’etica ce la giochiamo. Sulla cucina vinciamo ancora noi, anche se sulla qualità della ristorazione turistica, ci stracciano senza neanhe vdervi in un 7 a 1 che puo ricordare Germania-Brasile 2014.

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            1. Concordo sulla qualità della ristorazione, noi i turisti di solito li trattiamo male, in un ristorante in Spagna ti senti meglio che a casa (anche perché lì mangiare fuori è la norma, non come in Italia).

              Sarebbe interessante confrontarci in effetti: su sistema educativo e sistema sanitario non la vedo così chiara, in Spagna c’è una fortissima (e dannosa) dualità privato / pubblico che non facilita il confronto con l’Italia, che in questo è diversa.

              Le infrastrutture loro le hanno costruite più tardi, quindi adesso sono in migliore stato di conservazione delle italiane… Insomma, discorso complesso ma sicuramente stimolante! :–)

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