
Negli anni Sessanta la musica rock era ancora giovane e di gruppi bravi e promettenti ce n’erano a bizzeffe. E i Deep Purple sono sicuramente uno di quelli che ha fatto fiorire a dovere il talento dei propri componenti e ha meritatamente raggiunto un successo stellare. Sono ancora in attività, e quindi nel 2022 fanno già 54 anni di carriera da quando uscì il primo album Shades of Deep Purple (1968).
Volete mettervi in pari? Vi sconsiglio di ascoltare i venti e passa album in studio della band, perché ci trovereste oltre a tanta bella musica, anche molta roba sinceramente dimenticabile, come è inevitabile. La storia dei Deep Purple è talmente lunga e variegata che esiste un codice per indicare le sue varie formazioni. Ecco quindi il Mark I che fece uscire ben tre album tra il 1968 e il 1969 (oltre al primo, anche The Book of Taliesyn sempre del 1968, e Deep Purple l’anno successivo), ma soprattutto i Deep Purple Mark II, quelli in azione tra il 1970 e il 1973 e che ci hanno regalato canzoni fondamentali per il rock e hanno anticipato generi che avrebbero tardato ancora qualche anno prima di uscire fuori (sto pensando a metal e affini).
I nomi del Mark II: Ritchie Blackmore alle chitarre, Ian Gillan alla voce, Ian Paice alla batteria, Roger Glover al basso e John Lord alle tastiere. Ognuno di loro un mostro nel rispettivo campo d’azione, e la loro combinazione ha fruttato alla storia del rock almeno un trittico di album da incorniciare. È grazie a In Rock (1970), Fireball (1971) e Machine Head (1972) se i Deep Purple sono considerati uno dei tre gruppi fondamentali dello hard rock britannico insieme a Led Zeppelin e Black Sabbath. Quei tre album contengono, tra le altre, Speed King, Child in Time (una suite epica di dieci minuti che metteva a dura prova le corde vocali di Gillan ogni volta che la eseguivano dal vivo), Highway Star, e Smoke on the Water (se non la conoscete probabilmente avete vissuto sugli anelli esterni di Saturno negli ultimi cinquant’anni). Se aggiungiamo il famosissimo Made in Japan del 1972, direi che sono pochi i gruppi che possano eguagliare o superare un tale livello artistico in quanto a musica rock.
E questo non significa che non manchino grandi pezzi anche nella loro produzione successiva anche oltre il Mark II (come per esempio Burn dall’omonimo album del 1974), che comunque tornò insieme dal 1984 con il buon album Perfect Strangers fino al 1993 con l’altrettanto dignitoso The Battle Rages On… (Blackmore non terminò il tour di promozione di quell’album e non tornò più a suonare con la band).
Come descrivere la musica dei Deep Purple? Partirono come tanti dal blues e dal pop anni Sessanta (basta ascoltare Lazy per capirlo), ma con In Rock dettero una sferzata heavy impressionante tra acuti di Gillan, assoli a velocità inaudita e riff indimenticabili di Blackmore, una sessione ritmica da paura con la coppia Glover – Paice, e delle tastiere che raramente prima di allora erano state usate in modo così efficace nel rock duro (come tappeto sinfonico ma anche con soli alla pari di quelli di Blackmore). Eppure la musica dei Deep Purple è allo stesso tempo anche melodica (sia i ritornelli delle canzoni, sia molti assoli e riff di chitarra dei Deep Purple sono stampati nel DNA di molti di noi). Sono stati indicati come influenze chiave da musicisti di gruppi metal di ogni tipo, inclusi Metallica e Iron Maiden per nominarne giusto due, e ascoltando anche solo Speed King è facile capire perché.
Come accade solitamente, la spinta creativa dei Deep Purple poco a poco perse forza, e i conflitti personali tra i membri del gruppo non aiutarono a continuare (aggiungiamo anche problemi legati ad alcool e droghe), così arrivarono i numerosi cambi di formazione e album sicuramente meno rivoluzionari di quelli di inizio anni Settanta, ma non gli se ne può fare una colpa: pochissimi artisti sono riusciti a restare innovativi per decadi intere, e per farlo di solito hanno cambiato generi musicali, collaboratori ed influenze (penso a gente come Sting, o David Bowie, per esempio).
In ogni modo, i Deep Purple la loro più che onesta carriera nel mondo del rock l’hanno fatta eccome! Attualmente siamo arrivati al Mark IX, in cui va detto che comunque militano vari pezzi della formazione più importante: Ian Gillan, Ian Paice e Roger Glover continuano a rockeggiare, accompagnati da Don Airey alle tastiere (nella band dal 2002, ma è anche lui una leggenda del rock avendo suonato con svariati gruppi di spessore come Black Sabbath, Wishbone Ash e Jethro Tull), e dal 1994 a quest’anno, 2022, Steve Morse ha rimpiazzato egregiamente un Ritchie Blackmore che da tempo crede di vivere in un fantasioso Medio Evo e ha rinunciato a suonare la chitarra elettrica, cosa che faceva tanto bene. Morse ha lasciato da poco per stare vicino alla moglie gravemente malata, e al suo posto è stato preso un giovincello irlandese del 1979, tale Simon McBride.
Ammetto che questo ultimo cambio non mi abbia fatto impazzire, ma di fronte a problemi di salute non si può far niente. Fortunatamente il 12 luglio del 2008 riuscii a vedere i Deep Purple con Steve Morse nel mitico Pistoia Blues Festival. Fu un signor concerto, con una scaletta piena delle loro canzoni più celebri: tra le altre, ci regalarono (i link portano a video di quella serata) Pictures of Home, Strange Kind of Woman, Demon’s Eye, Space Truckin’, Highway Star, Smoke on the Water, The Battle Rages on…, e nel bis Hush e Black Night. Per ovvie ragioni di età, il più in difficoltà in un concerto simile fu il povero Ian Gillan, che da ventenne riusciva ad arrivare a note altissime facilmente, ma che a settant’anni non poteva offrire gli stessi virtuosismi. Inoltre, prima dei Deep Purple suonarono anche i Nine Below Zero (ottima blues band britannica) e i virtuosi Tommy Emmanuel (che mi piacque un sacco) e Andy Timmons (che trovai inutile), fu una gran giornata di musica!
Qualche giorno fa, sabato 24 settembre del 2022, ho visto di nuovo i Deep Purple dal vivo, stavolta a Sevilla, e che concerto! Li ho ritrovati in forma come nel 2008, e anche se hanno suonato meno canzoni, credo non ci sia stato nessuno del pubblico deluso dallo spettacolo che hanno messo in piedi. La scaletta qui sotto può facilmente farvi capire perché (con relativi video della serata – quattro sono miei, direttamente dalla quarta fila tra Roger Glover e Ian Gillan):
- Highway Star
- Pictures of Home
- No Need to Shout
- Nothing at All
- Uncommon Man
- Lazy
- When a Blind Man Cries
- Anya
- Keyboard Solo + Perfect Strangers
- Space Truckin’
- Smoke on the Water
- Bis:
- Hush (Joe South cover)
- Bass Solo + Black Night
E niente, che altro dire? Adoro la musica dei Deep Purple e provo un’ammirazione incredibile per chi ha passato la vita all’insegna del rock, plasmandolo e dandogli direzioni nuove quando era il momento di sperimentare e andare oltre. Temo che questo rimarrà l’ultimo concerto che mi sarò potuto godere e me ne porterò per sempre il ricordo con me. Ciao!
PS: vi lascio con qualche immagine di questi due concerti…














Qui mi trovi del tutto impreparato: a parte qualche brano famoso non conosco proprio niente della band. Un giorno recupererò il tempo perduto 😛
Comunque complimenti per il plettro preso al volo ^_^
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Grazie! Lo metto nella collezione insieme a quello di Mick Box degli Uriah Heep, Cesareo degli Elii, e chitarra e basso dei The Cult! :–D
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