L’ultimo imperatore: recensione del film

L’ultimo imperatore è un film storico del 1987 diretto da Bernardo Bertolucci che racconta la vita dell’ultimo imperatore cinese Pu Yi. Divenuto imperatore a soli tre anni nel 1908, visse non solo svariate rivoluzioni che resero il suo paese una repubblica, ma anche la Seconda Guerra Mondiale in cui si prestò a fare da imperatore fantoccio in mani giapponesi dalla Manciuria occupata.

Il film fu una produzione immensa frutto della collaborazione tra Italia, Cina e Regno Unito ed entrò nella storia per essere il primoo film in tempi moderni a cui il governo cinese permise di girare nella Città Proibita a Pechino. Si calcola che furono usate quasi ventimila comparse, ed effettivamente l’epicità e la grandiosità del film si notano tutte!

A rendere dinamica la narrazione ci pensa una struttura temporale non lineare: incontriamo Pu Yi nel 1950 quando le autorità russe lo consegnano come prigioniero di guerra a quelle cinesi ed è dal carcere che conosciamo la sua vita con vari flashback sempre ben collegati alle parole e alle immagini della prigionia (con moltissimi match cut ben fatti che permettono sempre di mantenere chiaro il filo del discorso). 

Pu Yi sin da subito fu imperatore solo nella Città Proibita mentre la Cina, un colpo di stato dietro l’altro, diventava una repubblica. Da recluso fu costretto a sposarsi (con due mogli), e sempre da recluso cominciò un’opera riformatrice del suo ristretto dominio che naturalmente fu osteggiata dai servitori che abitavano nel palazzo imperiale. Sicuramente l’imperatore fu influenzato dal suo mentore scozzese Johnston, interpretato magistralmente da Peter O’Toole. Ad un certo punto fu pure costretto a lasciare la Città Proibita e a vivere chiuso in un altro palazzo, stavolta in Manciuria, la sua terra natale. Ma la ragione del suo imprigionamento sarà chiara solo con l’invasione giapponese della Cina nella Seconda Guerra Mondiale durante la quale Pu Yi si presterà a fare da imperatore fantoccio dello stato di Manchukuo controllato dai giapponesi.

Che dire de L’ultimo imperatore? In due ore e trentasei minuti (il mio DVD non contiene la versione integrale con ben un’ora in più di pellicola) riesce a raccontare la storia di un uomo e del suo paese, una storia epica ed interessante di per sé, ma resa avvincente da una narrazione impeccabile. Personalmente, mi hanno fatto storcere il naso alcune cose come il fatto che si parli sempre inglese (non sarebbe stato meglio che i personaggi cinesi parlassero cinese tra di loro?) o la poca precisione storica riguardo ad alcuni fatti che però, capisco, non si potevano mostrare o per ragioni politiche o per ragioni cinematografiche.

Apparentemente, infatti, Pu Yi fu responsabile di molte azioni deplorevoli, soprattutto durante l’epoca in cui regnò, si fa per dire, su Manchukuo. Capisco che non si voglia rendere il protagonista troppo negativo perché ciò impedirebbe agli spettatori di empatizzare con lui, però forse un po’ più di accuratezza storica qui avrebbe giovato. 

Il film tace anche sulla sua presunta omosessualità, e sembra pure un po’ strano che in un carcere piena di prigionieri di guerra nel 1950 non ne venisse maltrattato nemmeno uno, ma entrambi questi argomenti erano certamente tabù vista la collaborazione con il governo cinese per fare il film.

Ciò nonostante non posso che ammirare un film così grandioso che riesce a mantenere una certa integrità dall’inizio alla fine, che regala delle immagini splendide aiutato anche da una fotografia eccellente di Vittorio Storaro. E si parla tanto dell’uso dei colori di Almodóvar, ma quello che Bertolucci fa in questo film con il giallo, il rosso e il verde è ben più impressionante, con ognuno di questi colori che sottolinea un diverso aspetto della vita di Pu Yi. Ne esce un ritratto di una persona vittima delle circostanze, mai padrone della sua vita, sempre servitore di interessi più grandi, nonostante nominalmente fosse quasi sempre lui a comandare su una nazione enorme e potentissima. Un vero dramma personale che si aggiunge ai drammi socio-politici che lo stesso Pu Yi ha vissuto in prima linea, pur se non come reale protagonista.

Insomma, film consigliatissimo! Mi rimane la curiosità di vedere quell’ora addizionale, ma suppongo che mi accontenterò di leggere che cosa contenga invece di guardare di nuovo il film ma nella sua versione integrale. Ciao! 

PS: Pu Yi è interpretato da più attori in diverse età: John Lone, Tsou Tijger, Richard Vuu, e Tao Wu.


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4 risposte a "L’ultimo imperatore: recensione del film"

  1. Avevo all’incirca 14 anni quando tutti in TV parlavano di questo film, per via dell’Oscar, e di lì a poco l’abbiamo visto in famiglia su VHS: ricordo solo di essermi fatto una gran dormita, ma ero giovane.
    Rivisto molti anni dopo, boh, lo stesso non mi ha preso. Bei paesaggi, belle ricostruzioni, bella fotografia, però ricordo solo una noia infinita. Decisamente più belli i romanzi di Pearl S. Buck, che raccontavano le stesse cose ma senza ricevere Oscar 😛

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    1. Non ho letto i romanzi, ma secondo me il film fa bene quello che si propone di fare in un tempo non esagerato (oggigiorno, tornando a Dahmer, ci farebbero una serie da 5 stagioni da 10 episodi di un’ora l’uno)! :–)

      Piace a 2 people

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