El mismo amor, la misma lluvia: recensione del film

El mismo amor la misma lluvia è un film argentino del 1999 scritto e diretto da Juan José Campanella (il copione è firmato anche da Fernando Castets) con protagonisti Ricardo Darín e Soledad Villamil. Temo che in Italia non l’abbiano visto in molti a causa delle solite case di distribuzione che snobbano film latinoamericani e spagnoli, visto che nessuno si è nemmeno preso la briga di tradurre il titolo in italiano, pratica comune per provare a commercializzarlo nel Bel Paese. Lo traduco io per voi, allora: Lo stesso amore, la stessa pioggia.

Il film segue per una dozzina d’anni la vita di Jorge Pellegrini, astro nascente della letteratura argentina a metà degli anni Settanta, e poi relegato a scrivere racconti d’amore per una rivista di seconda categoria (Cosas, cioè Cose). Ne vediamo la vita in redazione circondato dai colleghi di sempre, su tutti l’amico Roberto (Eduardo Blanco) e la triste Leticia (Mariana Richaudeau), innamorata di Jorge ma mai ricambiata (né da lui capita). E soprattutto ne seguiamo le vicende amorose, con lui che si innamora della brillante Laura (Soledad Villamil), piena di energia e di sogni, vive un’intensa storia d’amore per qualche anno, ma si tira indietro quando quella gli chiede di sposarla. Ed è da lì che la sua vita prende una piega terribile, tra corruzione e anche un tentativo di suicidio.

A rendere tutto questo più interessante di quanto non sia c’è lo sfondo dei cambiamenti politici e sociali in Argentina, visto che il film comincia nel 1980 con la dittatura di Jorge Rafael Videla e attraversa i primi anni della repubblica guidata da Carlos Menem. E non è uno sfondo irrilevante, perché ha delle serie conseguenze sulle vite dei protagonisti. Jorge, per esempio, nasce come scrittore impegnato ma per sopravvivere è costretto a scrivere cose prive di spessore. E quando, dopo la crisi con Laura (che nasce anche dalla volontà di lei a spronarlo a fare di più), decide di fare qualcosa che denunci le angherie del regime caduto da poco (portando in scena a teatro la storia del suo mentore Mastronardi, Alfonso De Grazia), scopre tristemente che non interessa a nessuno andare a rivangare un passato così tragico, forse perché troppo recente.

Sono davvero tantissimi gli spunti interessanti di questo film scritto e messo in scena così bene, sicuramente grazie anche alle interpretazioni magistrali di un ottimo cast che riesce a dare vita a tutte le situazioni portate sullo schermo. Quasi ci sentiamo partecipi della scelta degli articoli, scelta che immancabilmente (dittatura militare o no) finisce per cassare sempre quelli più impegnati a favore di cose più leggere. 

Ancor più intensa è la storia tra Jorge e Laura, il cui iniziale fuoco di passione si raffredda poco a poco con la convivenza anche se non si spegne mai nemmeno dopo l’allontanamento voluto da lui. Credo sia impossibile non rivedere in questa storia qualcosa di vissuto in prima persona, con storie che iniziano in un modo e si evolvono o finiscono per divergenze dettate dalla paura di una delle due parti di compromettersi troppo. In questo caso è Jorge che ha paura di rinunciare a chissà quali libertà e possibilità legandosi troppo a Laura, ma le sue avventure successive lasciano il tempo che trovano senza arrivare minimamente all’altezza al vero amore provato per Laura.

E anche lei stessa non è credibile quando, cresciuta e tornata con il ragazzo che aveva prima di conoscere Jorge, dichiara che il fuoco della passione per lui non fu vero amore, ma solo un sentimento dannoso, e che il vero amore è la tranquillità, il rispetto, l’affetto, in una coppia in cui non deve avvenire niente di troppo sconvolgente per mantenere l’equilibrio.

A tutte queste considerazioni aggiungiamo dei dialoghi brillanti (Laura: “Tienes algo de Cortázar…Jorge: “Sí, un poster!“, cioè “Hai qualcosa di Cortázar“, “Si, un poster!“), una colonna sonora di Emilio Kauderer delicatissima, e di difetti io ce ne vedo davvero pochi. Il personaggio del figlio di Mastronardi è un po’ trascurato, è vero, ma è inevitabile che con un cast così grande non tutti i personaggi riescano al 100%.

Io apprezzo anche il fatto che i due attori protagonisti non siano belli e perfetti, ma “solo” carismatici, con una bellezza lontana dai canoni omologati del cinema più commerciale. Insomma, non ho che parole buone da spendere per questo film di Juan José Campanella: se non l’avete visto, provate a farlo e non ve ne pentirete! Ciao! 


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