Madonna che silenzio c’è stasera: recensione del film

Il 12 giugno 2023 è morto un grande personaggio italiano.

Era un talentuoso artista che ha passato gli ultimi anni della sua vita in condizioni fisiche precarie a causa di una brutta caduta dalle scale avvenuta nel 2006. La persona che omaggiamo oggi tra queste fottute pareti è Francesco Nuti, ricordato anche qualche giorno fa dagli amici Kelvin su Solaris, Arwen Lynch nella Fabbrica dei sogni, e Nick su Matavitatau

Parliamo infatti di Madonna che silenzio c’è stasera, un film del 1982 diretto da Maurizio Ponzi e scritto da Francesco Nuti insieme a Elvio Porta (il 1982 era l’anno in cui Nuti aveva anche lasciato i Giancattivi, in cui aveva militato per qualche anno insieme a Athina Cenci e Francesco Benvenuti). Personalmente accosto questo film a quel capolavoro di Berlinguer ti voglio bene (1977), diretto da Giuseppe Bertolucci ed interpretato magistralmente da Roberto Benigni. Entrambi i film sono dei one man show con i protagonisti mattatori assoluti, Francesco Nuti da una parte e Roberto Benigni dall’altra, sempre davanti alla macchina da presa, che da soli riescono a portare sulle spalle i film per novanta minuti senza alcun problema. Ed entrambi i film sono delle commedie malinconiche ambientate a Firenze e dintorni! 

Ma lasciatemi concentrare su Madonna che silenzio c’è stasera, che del film di Benigni prima o poi scriverò qui sul blog. Francesco Nuti interpreta Francesco, appena lasciato dalla sua ragazza Maria, orfano di padre e con una madre che insiste perché torni a vivere con lei (attualmente vive in un appartamento nel suo stesso pianerottolo, come scopriamo in una delle prime e geniali scene). Francesco vive in una Firenze dove non sembra esserci una persona normale da nessuna parte, un mondo ostile in cui una persona sensibile e fragile come lui viene trattata male da tutti. Anche il ragazzino Filippo (Mario Cesarino) lo prende in giro tutto il tempo, ma in realtà è l’unica persona che somiglia ad un amico che ha, per quanto per poco tempo. Francesco è infatti come un bambino, incapace di dialogare con gli adulti che ha intorno, e anche i suoi piani per fuggire in Perù somigliano a quelli che potrebbero fare dei ragazzini sognando ad occhi aperti. 

Praticamente tutto il film è una serie di scene di culto una dopo l’altra: la sveglia al mattino (Buongiorno una sega!), l’interruzione del matrimonio della Maria sbagliata, la serata dei dilettanti alla ribalta presentata da Fausto Fidenzio e in cui appare anche un giovane Ricky Tognazzi a cantare l’Alleluja (ma non il pezzo forte “Vigileeeee, io sono un vigileeeeee, di molto vigileeee“)… Ma non tutte le scene sono costruite per ridere e basta. 

Penso infatti alla ricerca del lavoro nella fabbrica tessile dove gli operai (e pure il direttore) sono tutti sordi e nessuno ha tutte e dieci le dita delle mani. È una parte geniale del film, e anche molto triste. La lotta tra Francesco e il telaio, che si comporta come un mostro indemoniato, è decisamente simbolica, col lavoro in fabbrica che non nobilita l’uomo, anzi lo maltratta e lo sottomette, costringendolo ad una vita grama e triste. 

Anche la figura di Magnifico (Massimo Sarchielli) è una chiave per trasmettere uno dei messaggi principali del film: tristemente, lui che ha capito che gli operai non hanno alcun futuro, passa la sua vita in fabbrica sognando una vita in un altro paese: “o tu sposti la chiesa, o tu vai in Perú, o tu vinci al Totocalcio“. Andare in Perú vuol dire scappare dalla provincia, cercare fortuna altrove (ma per il Magnifico significa andare in fabbrica, dove può guardare un poster del Perù, che tristezza…). Vincere al Totocalcio si spiega da solo, anche se Francesco pensa che se vincesse regalerebbe tutti i soldi senza pensarci troppo. E spostare la chiesa… non si può. Probabilmente Nuti ci vuole dire che sottostare alle regole, andare a lavorare in fabbrica come hanno fatto i genitori, costruire famiglie con figli, quello è spostare la chiesa, adattarsi al sistema, e spegnersi piano piano. 

In questo senso mi sembra chiarificatore anche il dialogo tra Francesco e Chiaramonti (Novello Novelli): chi tace acconsente o sta zitto? Gli operai che lavorano al telaio tutto il giorno e la sera stanno in silenzio a casa con mogli e figlioli di cui avrebbero fatto a meno acconsentono o stanno zitti? Stanno zitti, ma non acconsentono: sanno che non hanno vinto al Totocalcio, e non hanno trovato fortuna all’estero. A loro è toccato vivere le vite lungo i binari tracciati dalla società in cui sono nati, in una Firenze che non appare bella in nessuna delle inquadrature del film. 

Madonna che silenzio c’è stasera dà da pensare, certo, ma fa anche ridere, ancora oggi a più di 40 anni di distanza. Le gag sono costruite con pazienza, anche attraverso più scene non necessariamente consecutive, e i tempi comici sono calcolati al millisecondo, con Francesco Nuti che interpreta alla perfezione un personaggio malinconico ma simpatico, intrappolato da tutti i lati (la mamma non lo lascia in pace un attimo, e riesce a raggiungerlo al telefono – fisso – anche quando non è in casa con un tempismo eccezionale). 

E comunque, sia il finale che la serata trionfale con la mitica Puppe a pera, danno al tutto un tono anche leggermente ottimista, in mezzo a tanta malinconia. Davvero un piccolo gioiello questo Madonna che silenzio c’è stasera, comico, malinconico, politico, e a suo modo pure romantico, merita senza dubbio di essere recuperato per capire quanto abbiamo perso con la morte del povero Francesco Nuti. Ciao! 

PS: Buffo notare come ci sia un biliardo nel film, in una scena nella Casa del popolo gestita da Chiaramonti: il biliardo riapparirà più volte nella filmografia di Nuti.


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10 risposte a "Madonna che silenzio c’è stasera: recensione del film"

      1. E oggi, con l’attuale situazione socio/politico/culturale, credo finiremmo per apprezzarli ancora di più. A partire da quella piccola perla di “A Ovest di Paperino”, comico e surreale oltre che non meno malinconico (con le tre solitudini dei protagonisti che s’incontrano) della “solista” opera prima del povero Nuti…
        P.S. Fausto Fidenzio, qui nel suo unico ruolo cinematografico, faceva il verso a sé stesso essendo realmente stato in quegli anni conduttore (nonché spalla da cabaret) nelle “ruspanti” trasmissioni delle emittenti locali lombarde. Però non ebbe certo più fortuna del nostro Francesco, avendo passato quasi venticinque anni in carrozzina per via della sclerosi multipla che se lo portò via nell’aprile del 2015 😢

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        1. Povero Fidenzio, pure lui…

          A rivederli ora alcuni dei primi film di Nuti mi colpiscono per essere più profondi di quanto potessero sembrarmi da piccolo. Altri registi avevano intenti politici molto più espliciti (come Moretti o il primo Benigni).

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  1. Grazie davvero per questo pezzo, te ne sono grato. Hai scelto il film più divertente, malinconico e dissacrante di Francesco: è il film che forse lo rappresenta di più… e speriamo che la blogsfera ora cominci ricordarsi di questo grande personaggio.
    Un abbraccio sincero.

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    1. Grazie a te per l’iniziativa che trovo ottima! È stato un grande, e non sarebbe giusto ricordarlo solo per la parte finale della sua vita… Vedremo se arriveranno altri omaggi dai blogger italiani! :–)

      Un abbraccio!

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