Soylent Green: recensione del film

Soylent Green (per l’Italia: 2022: I sopravvissuti) è un film distopico del 1973 diretto da Richard Fleischer tratto dal romanzo Make Room! Make Room! (Largo! Largo!) di Harry Harrison (la sceneggiatura è firmata da Stanley R. Greenberg). L’ho sempre trovato di una bellezza disarmante e finalmente ho deciso di farlo uscire da queste fottute pareti.

Una scritta iniziale ci informa che è il 2022 e che siamo a New York, una città di 40 milioni di abitanti (in realtà l’anno scorso ce n’erano 18 milioni, nel mondo reale). Fa un caldo terribile a causa del cambio climatico, gli ortaggi e la carne sono merce rarissima, e la gente si nutre di soylent green cioè delle farine insapori derivate da soia o plancton (la parola soylent evoca soia e lenticchie).

Un giorno un pezzo grosso della potentissima ditta che commercializza il soylent green, William Simonson (Joseph Cotten), viene ucciso e il caso capita nelle mani del detective Thorn (Charlton Heston), che non crede che l’omicidio sia stato compiuto per una banale rapina. Questo lo porta in contatto con la bella Shirl (Leigh Taylor-Young), la furniture (arredamento) dell’appartamento di Simonson, e con la guardia del corpo di quest’ultimo chiamata Tab Fielding (Chuck Connors), che vive sospettosamente nel lusso.

Grazie anche all’aiuto dell’anziano Sol (Edward G. Robinson, qui al suo ultimo film) con cui vive, Thorn capisce che dietro l’omicidio c’è una verità sconvolgente che riguarda le vite di tutti gli umani del pianeta e non esita ad andare fino in fondo alla cosa…

Non voglio rivelare il finale, anche se l’ultima frase di Charlton Heston in Soylent Green è paragonabile al “God damn you all to hell!” con cui chiude Planet of the Apes (Il pianeta delle scimmie, 1968) da quanto è famosa… Ma magari qualcuno non ha visto questo film che compie cinquant’anni giusti giusti.

La forza di Soylent Green è devastante e i segnali che manda sono forti e chiari. Fleischer qui ci parla di sovrappopolazione e di esaurimento delle risorse del pianeta, un tema più che mai d’attualità a decadi di distanza. Un parallelismo ovvio che mi è venuto in mente è quello con l’episodio Il marchio di Gideon della serie classica di Star Trek, dove il problema della sovrapopolazione era portato sullo schermo un un modo simile (ma lì il risultato era più comico).

Ma Soylent Green parla anche di lotta di classe, con pochi privilegiati che godono di un lusso impensabile per le masse di poveracci che vivono ammassati per le strade mangiando cibi insapori, morendo di caldo e non avendo alcuna speranza di migliorare le proprie condizioni di vita (è una lotta di classe che però non viene portata in fondo dalla trama, visto che ognuno agisce per il proprio benessere, senza pensare alla società tutta). Particolarmente forte è l’immagine di queste ragazze una più bella dell’altra che praticamente non sono nemmeno trattate come esseri umani: fanno parte degli appartamenti dei ricchi, che ci possono fare quello che vogliono, come per esempio offrirle ai loro visitatori.

Quello che più mi sorprende è come all’uscita Soylent Green fu bistrattato in quanto semplice B-movie, quando invece secondo me affronta temi tutt’altro che banali.  Inoltre la maggior parte dei critici commentò la performance del povero Edward G. Robinson, che fu uno dei principali attori della Golden Age (Era d’oro) di Hollywood: sapeva che aveva i giorni contati per un cancro, ma si buttò anima e corpo nel progetto. Alla luce di questa informazione, fa un certo effetto guardare la scena in cui si sottopone ad eutanasia dopo aver capito la verità nascosta alla popolazione nel film (qui la versione dei Simpson). 

Certo, è vero che la trama risulta a tratti un po’ ingenua, con la cospirazione che è in mano a pochi individui che commettono degli errori improbabili, e con una verità che, a guardare bene, è sotto gli occhi di tutti. Però il carisma di Charlton Heston e i temi trattati, uniti ad una messa in scena che dimostra un budget molto superiore ai miseri 4 milioni di dollari a disposizione di Fleischer, secondo me portano a casa un signor risultato, con un film che si lascia vedere e rivedere. 

Chiudo con una curiosità: una versione personalizzata del primo gioco arcade Computer Space è stata utilizzata in Soylent Green ed è considerata la prima apparizione di un videogioco in un film (ma su questo meglio chiedere al buon redbavon di Pictures of you che ne ha già scritto o Moreno di Storie da birreria). Ciao! 


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17 risposte a "Soylent Green: recensione del film"

  1. Gran bel film anche se la prima volta che l’ho visto avrò avuto dieci anni. Ne ho però un ricordo indelebile, con tutta probabilità perché l’ho rivisto quando avevo qualche anno di più. Sicuramente il primo film che mi ha reso consapevole di avere un'”affinità elettiva” con gli universi, che oggi chiamiamo “distopici”. La fine degli anni Settanta, pure essendo in tenera età, ho avuto la fortuna di assistere alla nascita della fantascienza con Star Wars (allora chiamato Guerre Stellari) e ancora prima alla serie Spazio 1999 (il 22 dicembre su Raiplay debutta la seconda serie rimasterizzata da Rai Teche in versione Hd con audio restaurato). A mia memoria per gli universi distopici Soylent Greeen è stato il primo e la serie TV Survivors (I Sopravvissuti, per quanto malamente tagliata dalla RAI), ho scoperto Il Pianeta delle Scimmie molto più in là negli anni.
    Il finale mi lasciò sconvolto e, rivedendolo più in là negli anni, ne ho apprezzato il taglio “sociale”, un’oligarchia ricca e arrogante contrapposta a una massa allo sbando, rassegnata e che sopravvive di miserie. Il tema della sovrappopolazione oggi non è più “futuro”: i quaranta milioni di abitanti della New York di Soylent Green sono stati ormai superati da Shangai e Tokyo a breve li raggiungerà con una densità di popolazione tre volte più elevata della metropoli cinese.
    Grazie per la citazione 😉 e permettimi di segnalare il link diretto al post dedicato a Computer Space in Soylent Green è: https://redbavon.wordpress.com/2018/04/13/videogiochi-nei-film-1-soylent-green/

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    1. Intanto grazie mille per il link corretto, l’ho messo anche nel post! :–)

      Bellissimo il tuo excursus sulle distopie, è un argomento che mi ha sempre appassionato, e questo film ne rappresenta un ottimo esempio cinematografico. La sovrappopolazione è effettivamente un problema reale, così come il cambiamento climatico, e Soylent Green aveva anticipato entrambi. Fu bistrattato, ma credo che il tempo lo abbia fatto giustamente rivalutare!

      Su Spazio 1999 ci sto lavorando :–) ma devo trovare il tempo di andare avanti e in questo periodo di tempo ne ho pochissimo… :–/

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  2. Quanti ricordi! L’ho visto da ragazzino in TV (credo sulla RAI) e mi ha segnato profondamente. Erano tempi di fanta-ecologia e di messaggi che mettevano in guardia dal futuro, tutta roba che nessuno ha ascoltato come nessuno ascolta oggi, ma almeno ha creato ottimi film, al contrario di oggi 😛
    Non ho mai avuto il coraggio di rivederlo perché preferisco tenermi lo splendido ricordo d’infanzia, con la sala “per morire” e la città sovrappopolata che mi metteva angoscia. Se lo rivedessi ora vedrei tanti difetti e mi spiacerebbe 😛
    Comunque, buon cinquantenario al film!

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    1. Guarda che secondo me anche a rivederlo adesso te lo puoi godere alla grandissima! Un signor film, per me, non mi stanca mai sia per i temi che per la messa in scena e per il cast (e ci sono anche tante belle signorine, cosa che non si disdegna mai)… :–D

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    2. Concordo con Sam Simon: è un film che ha resistito alle ingiurie del tempo, a rivederlo adesso si evidenziano comunque più i pregi che i (pochi) difetti.
      Personalmente mi trovano sempre spiazzata le immagini sui titoli di coda.

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  3. Io lessi pure il romanzo, dove però… il Soylent green non c’è, e poco ha a che spartire col film.
    Sovrappopolazione? Nelle metropoli, ma le zone rurali si stanno spopolando. Direi cattiva distribuzione, della gente e delle risorse. Fatevi un giro nei supermercati, nei centri commerciali, nei ristoranti all’ora di chiusura… si butta tanto cibo che si potrebbe sfamare l’Africa intera.

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    1. C’è un grosso problema di ineguaglianza nel mondo, siamo d’accordo, ma siamo anche una quantità spropositata di umani, e le risorse della Terra ne stanno risentendo… Avevo letto che il film era molto diverso dal romanzo! :–)

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  4. Sì, la parte cospirativa oggi può sembrare un tantino ingenua ma ho sempre pensato fosse una cosa voluta, in maniera da far arrivare il messaggio ancora più direttamente (un grado aggiunto di sospensione dell’incredulità allo scopo di aumentare il coinvolgimento degli spettatori) ma, nel complesso, “Soylent Green” si difende ancora egregiamente dopo cinque decenni passati 😉… E ogni volta che rivedo quelle dannate tavolette verdi mi corre lo stesso medesimo brivido lungo la schiena, conoscendone l’origine…

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    1. La parte cospirativa mi ricorda, in quanto ad ingenuità, e ai pochi mezzi per metterla in scena, quella di un altro film geniale e a basso budget: They Live. Ed è un complimento! :–D

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