Midsommar: recensione del film

Midsommar è il secondo lungometraggio di Ari Aster, uscito un anno dopo il suo esordio del 2018, Hereditary (Hereditary – Le radici del male) . In entrambi i casi, ha firmato anche la sceneggiatura, cosa abbastanza impressionante se pensiamo che Aster, originario di New York, è nato nel 1986 (il 15 luglio, per la precisione). Che film è Midsommar? E perché in Italia l’hanno intitolato Midsommar – Il villaggio dei dannati? Dannati titolisti…

È un cosiddetto horror elevato (elevated), o cerebrale (l’opposto di viscerale), o almeno questo è ciò che pensavo prima di vederlo. Poi l’ho visto e… Non so di preciso cosa mi aspettassi, ma quello che ho trovato è uno horror più o meno convenzionale ma girato in modo pulito e con varie scelte tecniche che mi sono piaciute, ma non mi hanno convinto fino in fondo, dato il contesto. Forse è l’intero concetto di elevated horror che mi ha stancato già. Mi spiego.

La trama di Midsommar si può riassumere così: un gruppo di ragazzi si ritrova in una comunità isolata che li uccide uno ad uno, finché non rimane viva solo una delle ragazze. È una storia talmente generica che è applicabile a centinaia di film horror, quelli con la classica final girl che sopravvive, e fin qui non c’è niente di male. Però la scelta di Aster è stata di mostrare pochissima violenza: in pratica, le uniche due morti “grafiche” sono quelle dei due settantaduenni che si suicidano dalla rupe, mentre gli altri omicidi avvengono tutti fuori schermo. Non mi è piaciuta molto, come scelta: se mi guardo il mio bel film horror normalmente voglio che me lo servano condito di omicidi efferati. È un po’ come un piatto di spaghetti aglio, olio e senza peperoncino: suona sbagliato!

Che poi ho apprezzato l’inizio lento che introduce bene sia la protagonista Dani (Florence Pugh), col suo dramma familiare immenso, sia il suo insulso ragazzo Christian (Jack Reynor). Il resto dei personaggi è convenzionale: Mark (Will Poulter) è quello che si crede furbo e che si droga parecchio, Josh (William Jackson Harper) è l’intellettuale, e poi arriva pure la coppia formata da Connie e Simon (Ellora Torchia e Archie Madewke). Un ruolo importante è giocato da Pelle (Wilhelm Blomgren), che porta questo gruppo nella sua comunità svedese in occasione della Midsommar, che è effettivamente una festività molto importante nel paese scandinavo.

Ma in realtà anche Dani e il suo ragazzo sono personaggi convenzionali, nel senso che di protagonisti traumatizzati nel cinema horror ce ne sono a bizzeffe. Insomma, Aster col suo Midsommar non fa niente di nuovo, ma lo ricopre con una patina lucente e brillante che sembra aver conquistato i critici, e molto meno il pubblico (almeno secondo Rotten Tomatoes):

Di questo recente filone detto elevated horror (se vogliamo arrivare a definirlo così) io ho visto e apprezzato titoli come, The Babadook (2014), It Follows (2014), The Witch (2015), Get Out (Scappa – Get Out, 2017), il già citato Hereditary (2018) e The Lighthouse (2019), mentre altri mi hanno lasciato perplesso: penso a Us (Noi, 2019) o Nope (2022), e naturalmente a questo Midsommar. Che mi sia stancato? È una possibilità. Ho apprezzato il sottotesto e le metafore dei film che mi hanno convinto, ma anche nello horror tradizionale c’erano messaggi e metafore e di solito erano anche più ricercate di quelle di questi film più recenti (vogliamo parlare di quel capolavoro di In the Mouth of Madness, Il seme della follia, 1994?).

Nel caso di Midsommar, qual’è il sottotesto? Più che sottotesto, è un sopratesto, perché più chiaro di così si muore: Dani perde la famiglia all’inizio del film, e ne trova un’altra nel finale, cosa sottolineata da svariati dialoghi con Pelle, e da un’insistente sottolineatura del pessimo rapporto di Dani con Christian, tanto che alla fine lo sacrifica nel tempio di fuoco. Tutto questo raccontato in 140 minuti, senza un briciolo di ironia (dei maestri del genere come John Landis e Joe Dante, per nominarne giusto due, riuscivano a spaventare divertendo anche, nel frattempo), e senza mostrare alcun omicidio.

Tra l’altro The Wicker Man del 1973 aveva già mostrato una storia del terrore con una comunità chiusa ed inquietante (e in soli 84 minuti!), e mi fa ridere che Ari Aster abbia dichiarato che non si sia rifatto a quel film col suo Midsommar

Detto questo, perché mi sarebbe dovuto piacere Midsommar? In un recente Scream si sono già presi gioco dell’elevated horror in un dialogo tra Tara e Ghostface:

Ghostface: Uh-huh. What does that mean, “Elevated horror”? (Uh Huh. Cosa significa “horror elevato”?)

Tara: It’s scary but with complex emotional and thematic underpinnings. It’s not just some schlocky, cheeseball nonsense with wall-to-wall jump scares. (È spaventoso ma con basi emotive e tematiche complesse. Non è solo una stupida sciocchezza con jump scare inutili.)

Ghostface: Sounds kind of boring to me. (Mi sembra un po’ noioso.)

Ecco, lo sapevo: sono diventato Ghostface.  Doveva succedere prima o poi: you either die a hero or you live long enough to see yourself become a villain (o muori da eroe o vivi abbastanza a lungo da vederti diventare un cattivo)… Aspetta, quello non era horror, era The Dark Knight (Il cavaliere oscuro, 2008)!

Non mi sono addormentato guardando Midsommar, ma non c’è stato un momento che mi abbia sorpreso, cosa ancora più ridicola se penso a quanto dichiarato da Aster nell’intervista che ho linkato sopra un cui sostiene di aver voluto cogliere di sorpresa il suo pubblico. È tutto già visto!

E sì, mi sono piaciute alcune scene come quella in cui la macchina da presa si capovolge quando i protagonisti arrivano nel luogo in cui le regole della società cambiano drasticamente, ma allo stesso tempo ho notato dei momenti di comicità involontaria che mi hanno fatto cadere totalmente la tensione (penso a quando Christian tradisce Dani incoraggiato da nove donne nude della comunità, per dirne una).

Dopo Midsommar, Aster ha fatto Beau Is Afraid (Beau ha paura, 2023), di 179 minuti di durata. Non so mica se voglio vederlo, ad essere sincero… Ciao! 


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8 risposte a "Midsommar: recensione del film"

  1. L’ho visto e il tempo me lo ha pure fatto dimenticare piuttosto in fretta. Io questi elevated horror o folk horror nel caso di “Midsommar” li comprendo, a volte li apprezzo, ma non mi appassionano. Io sono cresciuto con mostri iconici o comunque con horror ben diversi quindi fatico a digerirli. “Nope” però è sci-fi più che horror.

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    1. Più passa il tempo e più sono d’accordo con te, io ho il mito di John Carpenter e dei suoi horror, che per me è già più che elevato, questi nuovi registi all’inizio mi hanno sorpreso positivamente, ma l’entusiasmo che provo adesso è poco, lo ammetto…

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