The X-Files – S08E09, Autorigenerazione

Salvage (Autorigenerazione, ma significa Selvaggio), nono episodio dell’ottava stagione di The X-Files, mi è piaciuto abbastanza, anche se non si può negare che soffra di qualche problema di trama che sembra un po’ raffazzonata in vari punti, e inoltre gli mancano i protagonisti di sempre, problema non da poco. 

La riassumo brevemente: Ray Pearce (Wade Williams, passato sia da Star Trek: Voyager che da Enterprise) muore dopo una lunga e debilitante malattia sotto gli impotenti occhi della moglie (Jennifer Parsons) che vuole a tutti i costi capire chi sia il responsabile, e dà la colpa all’esercito e alla cosiddetta Sindrome della Guerra del Golfo. Poi muoiono delle persone vicine a Ray (l’amico Curt, Scott MacDonald, con mille gettoni nell’universo Star Trek, e il datore di lavoro Harry Odell, Dan Desmond, passato da Enterprise), che sembra essere tornato dal mondo dei morti come un essere che piano piano sta diventando del tutto metallico…

Partiamo dai punti forti dell’episodio: l’ispirazione è il film di Shin’ya Tsukamoto intitolato Tetsuo (conosciuto anche como Tetsuo: The Iron Man, 1989) in cui un uomo si trasforma in una creatura di metallo, anche se a tratti sembra di vedere scene da The Terminator (1984), anche data l’ingombrante presenza di Robert Patrick. Quando Doggett dice che gli uomini di metallo esistono soltanto nei film non si può non sorridere (pensando a Terminator 2: Judgement Day, Il giorno del giudizio, 1991).

Il villain è quindi molto interessante, e la sua vendetta è portata a termine con delle uccisioni decisamente sceniche, su tutte la prima in cui ferma una macchina che va a quaranta miglia orarie semplicemente facendosi investire (questa era una scena che ricordavo perfettamente a più di venti anni da quando la vidi in TV). Il discorso sull’umanità che viene spenta dalla macchina è ben fatto (ripeto, qualcun’altro ha pensato a Terminator 2?), e il cattivo non risulta così cattivo alla fine, cosa che aiuta a simpatizzare per lui nonostante gli omicidi brutali. 

Il tono poi è quello cupo ormai tipico di questa ottava stagione, che riprende quello degli esordi di The X-Files bagnati dall’umidità di Vancouver. Rod Hardy alla regia fa un ottimo lavoro, così come Bill Roe alla fotografia (nel montaggio mi ha fatto sorridere notare una svista in cui Doggett ha un coltello in mano che magicamente passa dalla mano sinistra a quella destra tra uno stacco e l’altro).

Infine, apprezzo molto che in The X-Files si scelga di nominare una malattia scomoda come la Sindrome della Guerra del Golfo, che per molti anni il governo statunitense si è rifiutato di riconoscere ma che ha colpito decine di migliaia di soldati di quel paese. Certo, non si approfondisce molto la cosa, però le si offre un palcoscenico con una certa visibilità.

Però, come detto, Salvage non è esente da problemi. La storia non è del tutto chiara e non funziona benissimo. Per esempio, possibile che l’azienda chimica si fosse liberata del professore contagiato dal metallo mettendolo in un bidone affidato all’impresa di demolizione di automobili che poi lo teneva fuori, alla luce del giorno? Non è certo il modo migliore di mantenere il segreto sulla sorte di quell’uomo! 

E poi in che modo si è contagiato Ray, e perché non si sono contagiati gli altri due che lavoravano con lui? Inoltre, si capisce che le sue condizioni vitali si sono deteriorate per mesi, fino alla morte. Ed è resuscitato grazie al metallo? Proprio prima di essere cremato?

Insomma, ci sono vari punti oscuri che non sono una novità per The X-Files, sono il primo a riconoscerlo, ma che stonano con un Doggett che fa l’investigatore puro, che segue soltanto i fatti ed ignora tutte le stolte fantasie di Scully, che naturalmente le azzecca tutte esattamente come faceva Mulder fino alla stagione scorsa.

E Scully è un’altra nota dolente dell’episodio, perché sembra che non abbia niente da fare. In altre parole, la si potrebbe togliere dal mezzo senza cambiare minimamente la storia! Si, certo, fa un paio di autopsie, ma Doggett non fa mai caso a quello che dice e non sembra che lavorino in coppia in maniera molto produttiva, anzi, Doggett fa quasi tutto da solo. Ora che ci penso, pure lui non è che faccia granché, e la storia avrebbe lo stesso finale anche senza la sua presenza. 

Praticamente qui mancano delle vere interazioni tra i due protagonisti, e Gillian Aderson sembra annoiata oltre ogni limite nelle scene in cui appare e dice le poche linee di dialogo che le toccano. Quindi anche con un antagonista riuscito come il Termina… ehm, l’uomo che diventa di metallo, l’episodio non si può dire riuscitissimo, ecco.

Wade Willams è bravo a creare empatia come lo fu, per esempio, Bryan Cranston in La corsa, ma lì c’era Mulder a fare da contraltare, qui la guest star è abbandonata a sé stessa. Peccato. Ciao! 


Episodio precedente: Infallibile

Episodio successivo: Badlaa


6 risposte a "The X-Files – S08E09, Autorigenerazione"

    1. Ci arriveremo presto!

      Spero che venga esplorata la cosa, perché così com’è sembra semplicemente una riproposizione della dicotomia credente/scettico che prima usava Mulder e Scully, e ora Scully e Doggett…

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  1. “Tetsuo meet the X-Files” avrebbe potuto essere il titolo ideale per questo episodio, dove l’intenzione di omaggiare/citare ha la meglio su tutto il resto (a questo punto mi stupisce che Carter non abbia contattato Tsukamoto per un cameo, almeno), senza dimenticare quel pizzico di “Terminator” che aggiunge un altro po’ di sapore, come Robert Patrick qui c’insegna… 😉

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