12 Years a Slave: recensione del film

p2912years2Nel 2014 l’Oscar per miglior film andò a 12 Years a Slave (12 anni schiavo), che stupidamente decisi di non andare a vedere per non deprimermi. Finalmente ho posto rimedio a questa scellerata decisione e sono rimasto impressionato dalla bellezza di questo film. Credo che il merito sia del regista, Steve McQueen, che è riuscito a fare un film forte ma allo stesso tempo non autocommiserativo su un tema complesso come lo schiavismo negli Stati Uniti nell’Ottocento. D’altronde il suo primo lungometraggio è Hunger (2008), sullo sciopero della fame di Bobby Sands, indipendentista irlandese prigioniero dei britannici negli anni 70-80! Insomma, è uno che non ha paura di trattare temi forti e mi pare che abbia anche la sensibilità giusta per farlo.

12 Years a Slave narra la storia vera di Solomon Northup, un afroamericano libero a New York che viene rapito e venduto come schiavo nel sud, vicino Washington. Vediamo i suoi 12 anni da schiavo a cominciare dal rapimento e la compravendita e passando per i vari padroni che lo usano come mano d’opera nelle loro sterminate proprietà terriere. Ne conosciamo la storia perché dopo questo periodo interminabile riesce a liberarsi, a tornare dalla sua famiglia, e a scrivere le sue memorie (pubblicate nel 1853).

Steve McQueen ci mostra senza grosse remore le condizioni tremende in cui gli schiavi erano costretti a vivere nel sud degli Stati Uniti. Nell’incredibile serie di attori che si succedono sullo schermo (Paul Giamatti, Paul Dano, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch…) vediamo personaggi di ogni tipo, tutti negativi. Sì perché anche gli schiavisti più “buoni” comunque non sono altro che schiavisti… e anche se era la normalità in alcuni stati dell’unione, non lo era in tutti, e non lo era per esempio in posti come l’Europa sin dal Medio Evo: insomma, non c’erano scuse per una pratica tale.

Che dire quindi del film? Violento o drammatico quando serve, la trama scorre via che è una meraviglia grazie ad un montaggio eccezionale con un grande uso di flashback e flashforward. Gli attori sono tutti molto bravi (anche se alcuni accenti del sud suonano un po’ forzati) e tutte le scene più memorabili sono davvero intense. La fotografia è spettacolare così come la colonna sonora, e il regista si sbizzarrisce con la macchina da presa regalandoci anche degli impressionanti piani sequenza.

Non il film per una serata tranquilla, bensì il film giusto per ragionare un po’ sulla natura umana, e in particolare sulle origini della nazione attualmente più potente sulla faccia della Terra: le origini violente che Tarantino non si è vergognato di mostrarci nei suoi Django Unchained (2012) e The Hateful Eight (2015), così come Jim Jarmusch in Dead Man (1995), per esempio. Ciao!


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8 risposte a "12 Years a Slave: recensione del film"

  1. Ecco, interessante. Il film secondo me è tecnicamente una bomba, però l’ho trovato una palla indescrivibile. Secondo me riesce male nell’intento di far percepire lo scorrere del tempo allo spettatore, e i 12 anni sembrano 12 minuti, e ha delle ingenuità narrative davvero poco lodevoli come Brad Pitt che appare dal nulla per dirci che la schiavitù è brutta, Fassbender incestuoso e caricaturalmente malvagio come a dire: Vedi! Vedi che brutto! Queste cose caricano il film di una retorica didattica davvero poco digeribile. Si salva però tutto il cast e tutto il comparto tecnico, il che lo rende un film comunque decente ma bah… Da sala video a scuola.

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    1. Sul passare del tempo che non si percepisce benissimo ti do ragione!

      Sui personaggi caricaturali… secondo me non si faticava a trovare padroni terrieri ubriaconi e violenti (Fassbender), o lavoratori bianchi arrabbiati e frustrati (Dano), o padroni che si sentivano “progressisti” pur se schiavisti (Cumberbatch)… e poi c’è da dire che il film è basato sul libro. Non l’ho letto, ma sappiamo che i libri scritti da ex-schiavi erano in realtà dettati ad attivisti anti-schiavismo che certamente esageravano le cose e le rendevano più terribili per smuovere l’opinione pubblica. Quindi anche solo per questo è difficile capire quanto ci sia di romanzato (cioè esagerato e quindi caricaturale) e quanto di storicamente accurato. Poi McQueen ha certamente modernizzato alcuni elementi e posso capire che possano risultare un po’ forzati: Fassbender è un personaggio estremo, effettivamente (ma ripeto, secondo me non impossibile da immaginare nel contesto). E Brad Pitt… è un po’ buttato lì, ma il messaggio “la schiavitù è brutta” non si evince certamente solo dalle sue parole nel film! :–D

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