The Lawnmower Man: recensione del film

28 settembre 2022, qui si festeggia il trentennale di un piccolo film indipendente che ebbe un notevole successo all’uscita con parecchi milioni di dollari guadagnati in più rispetto ai sei milioni di budget e che è rimasto una sorta di cult movie per molti. Insieme a vengonofuoridallefottutepareti, ricordano l’evento anche Lucius de Il Zinefilo (che ha avuto l’idea), Cassidy de La bara volante e Moreno di Storie da birreria.

Oggi quindi parliamo di The Lawnmower Man (Il tagliaerbe, 1992), diretto da Brett Leonard e teoricamente basato su un racconto di Stephen King. In realtà non ha niente a che fare col materiale originale, tanto che King denunciò i produttori e la distributrice New Line per far levare il suo nome (la trama viene dalla sceneggiatura intitolata Cyber God, ma il nome di King fu (ab)usato per motivi pubblicitari). 

La trama è la seguente: un intelligentissimo ricercatore senza scrupoli, il dottor Angelo (Pierce Brosnan), sta sperimentando con droghe e realtà virtuale con degli scimpanzé. Dopo alcuni fallimenti, decide di passare a una cavia umana, il povero Jobe Smith (Jeff Fahey), una persona con un chiaro ritardo mentale che lavora come tagliaerbe. All’inizio le cose sembrano funzionare, con la sua intelligenza che aumenta ad ogni sessione, ma poi l’esperimento va fuori controllo. A farne le spese sono prima, durante una orrida sessione di cyber-sesso, la bella Marnie (Jenny Wright), poi quelli che hanno maltrattato Jobe in passato come il malvagissimo prete McKeen (Jeremy Slate), e poi i cattivoni dell’organizzazione The Shop capitanata dal Direttore senza nome che ha il faccione del mitico Dean Norris

Diciamolo subito: il film ha una serie di difetti che ad elencarli tutti ci si farebbe notte. Eppure… eppure offre anche tantissimi spunti di riflessione e infiniti collegamenti ad altri libri, film, serie TV, e chissà che altro, tanto che una visione la consiglierei a tutti.

Difetti, dicevamo, e sarò breve. Regia approssimativa, dialoghi scritti malissimo e recitati peggio, un montaggio privo di qualunque senso del ritmo, degli effetti speciali al tempo probabilmente all’avanguardia ma ad oggi completamente inguardabili, una trama lineare che più di così non si può… devo continuare? Però c’è quell’eppure accennato prima.

The Lawnmower Man ricorda tante cose, tutte meritevoli. La prima è certamente l’episodio Oltre la galassia (Where No Man Has Gone Before) della prima stagione della serie classica di Star Trek, in cui Gary Mitchell sviluppa poteri simili a quello di Jobe nel film e si confronta con l’amico Kirk proprio come Jobe deve confrontarsi con il dottor Angelo. Per motivi simili, ritroviamo anche molto dell’episodio All’ennesima potenza (The Nth Degree) di The Next Generation, dove era Reginald Barclay ad evolvere ben oltre le normali capacità umane (l’episodio fu trasmesso per la prima volta un anno prima dell’uscita del Tagliaerbe, il primo aprile 1991).

poi, visivamente è impossibile non pensare a Tron (1982), anche per la tute indossate dai personaggi quando si connettono alla realtà virtuale (i due film hanno in comune Frank Serafine ai suoni, che aveva lavorato pure al primo e al terzo film di Star Trek, guarda che coincidenza). E, sempre parlando di somiglianze esclusivamente visive, sono pronto a scommettere almeno un paio di euro (!) che il regista avesse almeno visto il video di Money for Nothing dei Dire Straits di sette anni precedente (non sono un grande fan dei Dire Straits, ma quel riff spacca)! 

Ma The Lawnmower Man ricorda anche cose successive, ovvero lo potremmo considerare un anticipatore: Johnny Mnemonic uscì tre anni più tardi, nel 1995, così come Copycat (Omicidi in serie). Il primo sviluppa il cyberspazio del Tagliaerbe in un futuro distopico, il secondo ne condivide la visione assurda di dei computer e della rete, senza le estreme conseguenze di Jobe che ci entra dentro acquisendo dei poteri tali da… far squillare tutti i telefoni fissi della città. Ah però!

E posso non citare il mio amato The X-Files, che debuttò nel 1993 e la cui mythology aveva come personaggi chiave dei maschi bianchi brutti e cattivi facenti parte di un’organizzazione segreta e che si riunivano sempre in sfarzose stanze buie per delineare i loro loschi piani? Certo, The Shop viene da altri scritti di Stephen King, ma la messa in scena delle riunioni di Dean Norris e compagni non può non ricordare quella delle scene de Consortium di Cancer Man in The X-Files

Però vorrei ribadire quanto brutto sia questo film, perché a forza di citare cose interessanti pare che alla fine sia un buon prodotto. No, non lo è. Anche perché tutti gli spunti che contiene non portano a niente. L’atto finale è una semplice vendetta di Jobe e uno scontro con Angelo che porta alla sconfitta del primo… ma no, in realtà Jobe è fuggito! Che colpo di scena! L’unica cosa positiva del finale è la citazione sonora a The Evil Dead (La casa, 1981) di Sam Raimi.

E sì, c’è una corporation cattiva, i militari ancora più cattivi, gli scienziati senza scrupoli che fanno danni, ma è onestamente difficile leggere in tutto questo una critica sociale profonda, soprattutto perché i personaggi hanno la consistenza della carta velina, e i dialoghi non hanno la minima pretesa di andare oltre alla semplice storiellina dello scienziato pazzo che crea un mostro dai poteri straordinari.

Bisogna però ammettere che la realtà virtuale che si vede in The Lawnmower Man non è così distante da quanto si possa fare ora con la realtà virtuale, cioè… ancora poco, e con una grafica decisamente poco accattivante. A meno che sta roba non vi attragga per qualche oscura ragione, naturalmente! 

Quindi tanti auguri al Tagliaerbe, un film imperfetto ma da vedere, in un certo senso anticipatore e pioniere nel cybermondo, ed in un altro senso debitore di cose più vecchie di dieci, venti anni, e più. Ciao!



20 risposte a "The Lawnmower Man: recensione del film"

  1. Condivido tutto, e infatti rivedendolo mi sono ricordato quanto già all’epoca sia stato un film pessimo, dal punto di vista narrativo, ma posso assicurare che grazie a una campgna pubblicitaria massiccia e ad effetti speciali assolutamente all’avanguardia è stata una bomba, in quel 1992: ci fece sognare il futuro e vedere cose mai viste prima. Tutte le riviste impazzirono e quella grafica, oggi inguardabile, era lo standard qualitativo da raggiungere per tutti. (Ecco perché non si deve mai puntare sulla grafica, come fa la Marvel, perchè dopo cinque minuti è già vecchiume.)
    Avevo 18 anni ed ero cotto a puntino del film, prima che uscisse: una volta visto mi fece alquanto schifo perché è davvero una stupidata, ma lo stesso la realtà virtuale e la grande grafica al servizio del cinema erano roba nuovissima, all’avanguardia e potentissima.. Non a caso è il film che ha segnato il passaggio decisivo dagli effetti speciali fisici, che hanno tenuto banco negli Ottanta, a quelli digitali, che hanno infiammato i Novanta.. E ha lanciato un Principe della Z come Jeff Fahey, da allora presente nei più inguardabili filmacci in circolazione 😀

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    1. Se alla scarsa qualità del film aggiungiamo un’attesa spasmodica di un evento epocale la delusione è l’unico risultato possibile!

      Ho apprezzato un sacco la tua citazione degli Who per descrivere la tristezza degli occhioni di Jeff Fahey… :–)

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  2. Ho appena commentato da Lucius che il film all’epoca nonostante avessi una discreta scimmia per l’argomento trattato mi lasciò piuttosto indifferente, ma non ricordavo perché… Grazie al tuo articolo ora me lo ricordo! 😂

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  3. Cosa dire? Approvo tutti i tuoi “eppure” anche se, come sappiamo, non possono rendere il film migliore di quanto già NON sia (voglio dire, nemmeno lontanamente vicino al concetto di “migliore”) 😉

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