To Catch a Thief: recensione del film

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To Catch a Thief è un film del 1955 di Alfred Hitchcock. Più che per il film in sé, viene ricordato per essere stato l’ultima collaborazione tra il regista e l’affascinante Grace Kelly, dopo Dial M for Murder e Rear Window, entrambi del 1954. A quanto pare fu l’ultima non per volontà di Hitchcock, che adorava la Kelly, ma per la decisione di quest’ultima di abbandonare Hollywood dopo appena undici film fatti alla tenera età di 26 anni. Ma invece di entrare nel gossip, lasciate che scriva due righe senza senso sul film…

Cary Grant è John Robie, un ex ladro soprannominato “il Gatto“, si gode la vita nel sud della Francia quando una serie di furti fatti col suo stesso stile lo costringe ad imbarcarsi in un’avventura per catturare il nuovo ladro copione e scrollarsi di dosso la polizia che, naturalmente, sospetta che lui stesso sia tornato in attività. Quest’avventura lo porterà ad avere a che fare con i suoi ex-compagni della resistenza che lavorano tutti insieme nel ristorante di tale Bertani, con la giovane figlia di quest’ultimo innamorata di Robie (Brigitte Auber), e soprattutto con la ricca Jessie Stevens (Jessie Royce Landis) e sua figlia Frances (Grace Kelly), di cui il Gatto si innamorerà. Inutile dire che alla fine Grant riuscirà a scrollarsi di dosso le infamanti accuse e a conquistare la dolce Kelly!

Che Hitchcock fosse un genio del cinema non c’è bisogno che lo scriva io, e questo film non fa che confermarlo. Mi sembra anche importante sottolineare che sono passati 63 anni da quando uscì nelle sale, quindi alcuni degli aspetti ed espedienti del film oggi potrebbero essere considerati superati. Nonostante questo, To Catch a Thief non dimostra la sua età ed in nessun momento lo spettatore odierno si sentirà di essere di fronte a un mostro di un’altra epoca.

La cosa che più mi ha colpito è l’incredibile fotografia. I colori sono brillanti, le immagini ricercano sempre la perfezione nella composizione, e negli esterni si arriva a distinguere ogni singolo mattoncino dell’ultimo degli edifici del villaggetto sulla collina sullo sfondo! In alcune immagini la profondità di campo è davvero impressionante, è chiaro che Hitchcock non voleva sprecare l’occasione di girare in Francia e, anzi, voleva dare il giusto valore alla cosa. Ma dove il regista si è superato è nelle scene notturne sui tetti, con una luce verde molto teatrale che crea un’atmosfera tesa perfetta per accompagnare i momenti finali del film. Non dovrebbe sorprendere che il film abbia vinto un Oscar proprio per la miglior fotografia! Apparentemente la qualità delle immagini è dovuta al formato VistaVision che fu usato per girare il film, un formato usato pochissimo che permetteva l’ottenimento di negativi a 70mm pur girando su 35mm. Quindi, quando vai a rivedere il girato, ti ritrovi con delle immagini incredibilmente dettagliate.

Naturalmente, in alcune scene bisogna passare sopra a ciò che era considerato standard all’epoca: ci sono alcune scene di dialogo tra Grant e Kelly in cui l’attenzione è tutta sulla giusta illuminazione della faccia degli attori, più che sul ricreare fedelmente una luce che possa sembrare realistica. Ma, allo stesso tempo, ci sono anche un paio di inseguimenti in macchina in cui Hitchcock dimostra di essere un maestro della tecnica usando di tutto: dalla ripresa in elicottero (innovativa al tempo, con un Sikorsky H-5 che fu appositamente modificato per montare la macchina da presa di lato) alla cinepresa attaccata alle ruote e all’asfalto, fino alla camera fissa e passando per l’immancabile inquadratura della macchina che si muove innaturalmente con la proiezione della strada sullo sfondo (nel cinema moderno mi viene in mente solo Tarantino che continui a farlo in maniera che sia completamente chiaro il rimando a quella tecnica, per esempio in Kill Bill, 2003-2004).

E che altro? La chimica tra Grant e Kelly è innegabile, ma in questo caso si nota che il tipo di recitazione è tipico degli anni dell’immediato dopoguerra. Curioso che Cary Grant avesse deciso di ritirarsi dalle scene nel 1953 proprio perché quel tipo di recitazione stava venendo sorpassato dal method acting portato al cinema statunitense da esponenti del calibro di Marlon Brando e James Dean (fu Stanislavski ad introdurre quel metodo nel teatro russo di fine 1800). Hitchcock, fortunatamente, lo convinse a tornare a lavorare.

Infine, la colonna sonora è fantastica, orchestrale, sempre adatta a sottolineare ogni tipo di scena. Aiuta a dare ritmo al film, che in ogni caso scorre velocissimo. La trama rimane sempre interessante grazie alle interazioni mai banali tra i vari personaggi, e quasi ne esce un film corale data la grande importanza anche di quelli secondari, oltre alla coppia Grant-Kelly. Infine, Hitchcock dimostra di avere un grande senso dell’umorismo in più di un’occasione. Il film è un giallo con un tocco di romanticismo, ma il regista mette qua e là elementi comici che continuano a far sorridere. Evitando di rovinarvi la sorpresa, non potrete non sorridere alla battuta finale della Kelly, alla rivelazione della gamba di legno di Foussard da parte di Grant, alla domanda “leg or breast?“, o per l’uso delle immagini dei fuochi d’artificio nella scena intima tra i due protagonisti.

Insomma, non sarò il primo a dirlo, ma To Catch a Thief è un film da vedere assolutamente! Ciao!


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2 risposte a "To Catch a Thief: recensione del film"

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